La sociolinguista nell’incontro inaugurale di 6per6 spiega cosa succede ad alcune parole a causa del Coronavirus
Cambia la realtà e insieme a essa cambiano le parole per descriverla o il loro significato. Il periodo che stiamo vivendo non si sottrae a questo meccanismo.
Con la rassegna 6per6, noi di Linguinsta insieme a sei ospiti straordinari abbiamo provato a riflettere su alcuni cambiamenti in atto. La sociolinguista e traduttrice Vera Gheno, autrice del recente Parole contro la paura (Longanesi), nell’incontro inaugurale ha ricordato un elemento fondamentale per capire come funziona il linguaggio. «La parola è un’etichetta che noi esseri umani attacchiamo alle cose. Perfino nella Bibbia c’è scritto che è l’uomo a dare i nomi alle cose».
Per quanto possa sembrare sorprendente questo processo è dominato in qualche modo dalla casualità. «Si parla a questo proposito di arbitrarietà del segno. Una volta che si è accoppiata un’etichetta a una cosa, ci accordiamo per mantenere quel legame».
Quindi non c’è nessun meccanismo divino dietro al fatto che il quadrupede peloso che ci scodinzola vicino ai garretti si chiami cane. E una prova di questo si ritrova anche in alcune patologie del linguaggio come l’afasia. Gheno spiega che esiste un’afasia derivante da un trauma alla testa, ad esempio, che spezza il legame fra il concetto (il significato) e la parola che lo comunica (significante): «in questa condizione patologica non si nominano più le cose con la parola corrispondente, cioè quella che usano tutte le altre persone».
Un’altra prova dell’arbitrarietà del segno arriva dalle traduzioni. In due lingue diverse, infatti, allo stesso significato corrispondono due significanti diversi. «In alcuni dialetti del nostro paese, che alcuni descrivono come lingue che hanno fatto meno carriera, ci sono parole che non hanno un corrispettivo in italiano». Insomma non è possibile fare una traduzione con una sola parola, ma è necessario ricorrere a una perifrasi, a un insieme di parole. Ne è un esempio umarell in emiliano e romagnolo che in italiano viene indicato con la frase l’uomo anziano che guarda i cantieri. Un caso analogo è il termine toscano riscontro che indica la fastidiosa corrente d’aria che fa sbattere porte e finestre in casa; impossibile tradurlo con una sola parola in italiano standard, ma Christian Santeramo, uno degli spettatori di 6per6, segnala che in salentino c’è un termine analogo c’è, filippina. E un termine per questo concetto particolare, ricorda Gheno, c’è anche in ungherese.
Il cambiamento di significato di una parola è definito tecnicamente risemantizzazione funzionale: si allarga o si restringe così la fetta di realtà che quella specifica parola comunica, oppure cambiano alcune sfumature nella sua percezione. Fra le parole che hanno subito un cambiamento di percezione durante la pandemia da Coronavirus, Gheno ricorda tamponare (prima utilizzato quasi esclusivamente per indicare un lieve incidente automobilistico), virale e positivo. Queste ultime due in particolare hanno assunto una connotazione più negativa rispetto al passato e oggi «nessuno si sognerebbe di definire virale una campagna pubblicitaria, ad esempio».
Negli ultimi mesi è poi impossibile non notare la diffusione di termini legati all’immaginario bellico: combattere, sconfiggere, nemico, in prima linea sono solo alcuni esempi di questo lessico della guerra contro il nemico invisibile del COVID-19. «Alcuni hanno notato che questa ricorrenza della metafora bellica nei discorsi dei media è in grado di rendere più malleabili i cittadini che percepiscono di vivere una situazione in cui è meglio adeguarsi alle misure imposte senza sollevare neanche un mano per dissentire».