5 strategie per insegnare la pragmatica ai bambini (e non solo)

Nella lingua c’è molto di più di ciò che effettivamente diciamo o scriviamo: ecco come introdurre in pratica una classe alla pragmatica

di Victoriya Trubnikova e Benedetta Garofolin, autrici di Lingua e interazione. Insegnare la pragmatica a scuola (ETS)

Quando parliamo la nostra lingua materna spesso non ci rendiamo conto che, al significato delle nostre parole, se ne aggiunge un altro di più difficile interpretazione. Se esclamo: “Piove!” si capisce perfettamente cosa dico. Ma che cosa intendo?

La verità è che non riusciamo mai a comprendere l’intenzione di chi dice “Piove” se non prendiamo in considerazione anche il contesto. Quindi cosa può significare “Piove!” a seconda dei vari contesti in cui questo enunciato (tecnicismo del settore della pragmatica assimilabile in modo molto imperfetto al concetto ampio di frase) viene pronunciato?

Piove! [Non piove da due mesi] – trasmetto gioia e contentezza

Piove! [Guardo le previsioni per domani e vedo che mettono pioggia] – affermo lo stato delle cose

Piove! [Secondo le previsioni piove, invece c’è il sole] – lo dico ironicamente per affermare il contrario

Piove! [Ti invitano a una grigliata all’aperto] – rifiuto l’invito

Piove! [Qualcuno sta per uscire di casa] – consiglio di prendere un ombrello

Le nostre conoscenze condivise del mondo e della cornice situazionale ci aiutano a capire la scelta dell’espressione verbale. Si è soliti mettere tre le righe tutte quelle informazioni facilmente accessibili e si dice soltanto ciò che è più pertinente e quindi più efficace.

Visto che viviamo in una società della quale condividiamo i principi morali e le regole di buona condotta, a volte non diciamo chiaramente quello che vogliamo dire per non compromettere il nostro rapporto con le altre persone. Per questo, invece di dire “No, non vengo stasera”, si opta per “No, mi dispiace, oggi non ce la faccio proprio, sarà per la prossima”. Si rifiuta un invito, ma lo si fa cercando di produrre i minori danni.

Spesso la nostra padronanza della lingua e il buon senso sono sufficienti per poter comunicare in modo efficace. Ciò è valido finché nell’interazione qualcosa non va storto e ci fa capire che non ci rendiamo neanche conto che le nostre conoscenze reciproche e le regole del comportamento non sono universalmente condivise.

Ad esempio, i fraintendimenti possono capitare quando non riusciamo a cogliere gli impliciti, oppure se la nostra conoscenza del contesto non ci basta per capire l’enunciato. Inoltre, i problemi di interpretazione possono sorgere quando le nostre aspettative riguardo alle norme comunicative sono leggermente divergenti rispetto a quelle delle persone provenienti da un altro contesto socioculturale.  Per potenziare le nostre abilità di interazione è fondamentale lavorare sugli aspetti pragmatici, cioè quelli che riguardano il rapporto tra lingua e contesto.

Qui di seguito trovate cinque suggerimenti pratici per far comprendere a grandi e piccini alcuni aspetti fondamentali della competenza pragmatica.

“Tutta questione di contesto!”

Suggerimento 1: Sulla porta di un negozio vi è il cartello “Torno subito”: quando è stato affisso il cartello? Il mio “subito” non necessariamente dura tanto quanto il “subito” del proprietario del negozio. Allo stesso modo, “Torno tra 5 minuti”: quando sono iniziati i 5 minuti? Quando finiranno? Guidiamo i nostri studenti e studentesse attraverso queste riflessioni sulla cosiddetta deissi, per rendere la nostra e la loro comunicazione sempre più efficace.

“C’è anche Tommaso”

Suggerimento 2: due amici vogliono organizzare una cena e uno chiede all’altro cosa potrebbero preparare. Il secondo risponde: “C’è anche Tommaso”. La corretta interpretazione di questo enunciato è possibile solo se si conosce Tommaso e quindi si sa che è intollerante al lattosio e sono, perciò, necessari dei piatti che può mangiare anche lui.

Dunque, un’altra attività da proporre riguarda la necessità di disambiguare ciò che lasciamo implicito, quelle che in pragmatica vengono definite implicature, e far comprendere quali sono gli elementi che ci consentono di capire un enunciato sebbene non tutto sia stato espresso esplicitamente.

“Cultura che vai, invito che trovi”

Suggerimento 3: “Vuoi un po’ di vino?” disse allora con un tono quasi incoraggiante la Lepre Marzolina.

“Non vedo vino” osservò Alice. Infatti, aveva guardato sulla tavola e non aveva visto altro che tè.

“Non ce n’è, infatti” disse la Lepre.

“Allora non è stato gentile da parte tua offrirmelo” disse Alice arrabbiata.

“Non è stato gentile neppure da parte tua sederti senza essere stata invitata” rispose pronta la Lepre Marzolina [da Alice nel Paese delle Meraviglie].

Che cosa è accettabile in una cultura e che cosa non lo è? Invitare una persona da qualche parte è segno di cortesia oppure un’imposizione poco gradevole? Quanto bisogna insistere prima di sentire la risposta “sincera” e capire se l’eventuale rifiuto è veramente un rifiuto o solo “modestia”? Con queste riflessioni possiamo rendere consapevoli i nostri alunni e le nostre alunne circa i meccanismi che caratterizzano gli scambi comunicativi della nostra lingua e quelli delle altre che parliamo o studiamo.

“Mille modi per …”

Suggerimento 4: “Stavi per parcheggiare l’auto ma un altro automobilista prende il tuo posto. Come reagisci?”. La pragmalinguistica si occupa di tutte le opzioni linguistiche che un parlante ha a sua disposizione per agire sul mondo. Possiamo proporre ai nostri apprendenti delle situazioni comunicative e chiedere che cose direbbero, lavorando così sugli atti linguistici. Dopodiché seguirà una discussione per riflettere sulle varie realizzazioni proposte e sulle conseguenze che queste portano con loro.

“Intenzioni simili, lingue diverse, enunciati diversi”

Suggerimento 5: In Italia prima di entrare si dice “Permesso?” ma in inglese non si dice “Allowed?”; allo stesso modo, nelle metropolitane in Inghilterra si sente “Mind the gap” ma in italiano non lo possiamo tradurre con “Attento al vuoto”. Sarà capitato a tutti di tradurre dalla propria lingua materna in una lingua straniera una certa formula ed essere guardati con stupore dal nostro interlocutore. Ciò che può essere considerato “strano” in realtà può essere legato all’uso diverso delle formule linguistiche, che spesso non sono traducibili letteralmente. Riflessioni simili a queste possono aiutarci a intavolare discussioni interculturali con i nostri apprendenti, portare esempi tratti da tutte le lingue materne presenti nelle nostre aule e quindi valorizzare tutti i repertori linguistici.

Alla luce di questi suggerimenti, bisognerebbe far diventare la riflessione pragmatica una pratica diffusa a scuola, dalla scuola primaria fino all’università. Dopo un’adeguata formazione del docente, necessaria affinché anch’esso sviluppi la cosiddetta consapevolezza pragmatica, è importante cogliere ogni occasione che si presenta in aula per lavorare su questi aspetti. Inoltre, si possono creare dei percorsi ad hoc seguendo modelli didattici elaborati da vari autori, come ad esempio il modello didattico pragmatico pentafasico costituito, come dice il nome, da 5 fasi: motivazione ed elicitazione delle conoscenze, presentazione e analisi di esempi, produzione guidata, formalizzazione, produzione libera e confronto cross-culturale. È un modello induttivo che aiuta gli studenti a sviluppare la competenza metapragmatica sia nella loro lingua materna ma anche nelle altre lingue che parlano o studiano. Aiutare gli studenti a comunicare in modo appropriato ed efficace permette loro di vivere situazioni di successo a scuola e di avere esperienza di una piena inclusione in tutti gli ambiti della loro vita.