Comunicati stampa, come si fanno per sottoporli alla (mia) attenzione

Una piccola guida alla scrittura e all’invio di comunicati stampa

Quando dico che ogni giorno ricevo circa 500 email, la gente mi guarda come se fossi fuori di testa. Eppure è così: quotidianamente arrivano nella mia casella di posta elettronica centinaia di comunicati stampa che cercano di carpire la mia attenzione. Inutile dire che se leggessi anche solo le prime righe di ogni email, passerei la giornata a fare quello.

Ecco, ma visto che per anni ho svolto – e in piccola parte ancora lo faccio – il difficilissimo lavoro dell’addetto stampa, vorrei oggi fornire qualche piccolo consiglio non richiesto per aiutare i colleghi a far sì che io clicchi sulle loro email.

Di cosa mi occupo

Se non sai i temi di cui mi occupo e mi scrivi un’email, partiamo male. O meglio, rischi il blocco. Non è divismo ma puro istinto di sopravvivenza tecnologica. Se vuoi sottopormi un contenuto, in genere sei tenuto/a a sapere di cosa scrivo. Per chi ancora non lo avesse intuito, agevolo un piccolo elenco: sostenibilità, soprattutto se interseca il mondo dei viaggi e del cibo; viaggi, soprattutto quando sono sinonimo di paradisi naturalistici, attività all’aperto e – leggi sopra – turismo responsabile; benessere mentale (che spesso è legato a quello fisico).

Ah, siamo poi su Linguinsta, che è il primo giornale online dedicato alle curiosità e alle notizie sulle lingue, quindi anche tutto ciò che ha a che vedere con la lingua è benaccetto.

Che ruolo ho

Sono un giornalista freelance quindi potenzialmente potrei scrivere ovunque. Negli anni i miei pezzi sono apparsi su La Repubblica, La Stampa, Il Corriere della Sera, D, su testate di settore, e nelle edizioni digitali di Cosmopolitan e Wired. Oggi, tuttavia, tendo a scrivere principalmente per le edizioni digitali di Vanity Fair e GQ.

Il fatto che io sia freelance ha delle conseguenze: primo, non decido direttamente e da solo cosa pubblicare, quindi le proposte posso valutarle e capire semmai se possono essere proposte a mia volta alle redazioni per cui scrivo. Se quindi non conosci un minimo anche le testate per cui lavoro, le possibilità che la tua proposta venga veicolata da me diminuiscono.

Comunicati? Dipende, ma è difficile

Non so quante volte l’abbia sentito ripetere dai miei colleghi (e dalla mia voce): se non stai diffondendo il nome del vincitore di Sanremo, forse un comunicato stampa non è necessario. Cioè, mi spiego meglio: può servire come “pezzo di carta” di appoggio per informazioni, ma in genere occorre qualcosa di più. Spesso diciamo che serve un titolo, un taglio, una storia. E un titolo, un taglio e una storia non dovrebbero valere per più testate. A me dovresti proporne uno che funziona per quelle per cui scrivo.

Le foto?

Sì, servono sempre. E belle. Dura, lo so.

L’oggetto dell’email

Sì, come categoria non siamo talvolta premi Nobel, però sti programmini che cambiano il nome dopo il ciao a seconda del destinatario sono abbastanza ridicoletti. Lo capiamo che il resto dell’email è stato mandato paro paro ad altri.

In genere un invio ad personam si capisce dall’oggetto, che non è iperformale. Meglio ancora: mettimi subito il tag dell’argomento, tipo turismo sostenibile, cibo, salute mentale. Così è molto probabile che la legga.

Prima proposta?

Allora, deve stare in massimo 5 righe. Poi se suona (per me e per le testate con cui lavoro), possiamo approfondire. Rispondo io, tranquillo/a.

I quattro allegati, di cui uno da 15 pagine, proprio no, all’inizio non possiamo passarli al setaccio.

Questioni personali

Voglio bene agli inglesi e agli anglofoni, però se non mi scrivi da Cambridge, allora ti prego di non abusare di anglismi. Non è colpa mia e neanche tua, però la survey porta subito il mio cursore su “cancella”.