Fra tutti i sintomi che causa l’ansia, ce n’è uno che assume un ruolo primario per il suo significato
Sull’uso e sul significato di ansia ci sono diverse considerazioni interessanti da fare. Innanzitutto sui contesti in cui è utilizzata, che curiosamente non sempre sono negativi come nel caso dei minuti che precedono l’arrivo nel luogo in cui trascorreremo una vacanza; in questa situazione «ho l’ansia di arrivare» può assumere il senso di non stare più nella pelle, essere entusiasta.
Eppure, chi ha dovuto vivere un periodo contraddistinto da ansia patologica (qui l’aggettivo si rende necessario per sottolineare che non si tratta di semplice agitazione) sa bene che, soprattutto all’inizio, di positivo in realtà c’è ben poco. «Stato emotivo spiacevole caratterizzato da apprensione, incertezza e penosa attesa con cui sono vissuti un pericolo o una minaccia», così ne parla il Dizionario di Medicina della Treccani. Questi i sintomi psico-emotivi dominanti, ai quali però si aggiunge anche una componente somatica, come si legge nel Dizionario Internazionale di Psicoterapia (Garzanti), che si può tradurre in «palpitazioni, aumento della sudorazione, senso di vertigine, disturbi digestivi, respiro difficoltoso e ansimante, improvvise vampate di calore».
In «Incantato, dentro gli attacchi di panico», romanzo per cambiare punto di vista sull’ansia, il giovane insegnante Lorenzo descrive così il primo attacco di panico: «I suoni tutt’intorno si ovattarono, sovrastati da quello del mio cuore, che prese a galoppare all’impazzata […]. La testa fluttuava priva del suo legame viscerale con il tronco. La temperatura corporea si fece rovente, ma il sudore che prese possesso con arroganza della mia fronte era siberiano. La parte destra del mio viso si irrigidì, quasi come se un flusso di cemento liquido avesse preso il posto del sangue. Il respiro affannato, le mucose della bocca divennero aride. Le energie mi abbandonarono, imbarcate su un aereo diretto verso una meta così remota da non apparire sull’atlante».
Ecco, fra tutte queste manifestazioni biologiche, una in particolare è legata all’origine linguistica della parola ansia. Non la tachicardia, non il sudore, ma la sensazione di mancanza d’aria, di star soffocando. Secondo il Nuovo De Mauro, infatti, la parola ansia è attestata per la prima volta nel 1304 e deriva dal tardo latino anxia(m) che a sua volta discende dal verbo angĕre che nella lingua degli antichi romani significava propriamente stringere o soffocare. E poco importa che non tutti coloro che soffrono di ansia e di attacchi di panico abbiano la sensazione di soffocare (alcuni la chiamano, con una formula molto espressiva, fame d’aria), questa da un punto di vista linguistico è la manifestazione più peculiare.
Le espressioni polirematiche in cui ansia ricorre non sono moltissime: il De Mauro cita soltanto in ansia e stare in ansia. Esistono tuttavia altri termini legati etimologicamente a questo, fra cui il verbo ansiare: chi di noi pensa di essere particolarmente young quando dice sto ansiando sarà deluso dal sapere che nel dizionario questo verbo è anzi classificato come obsoleto, così come ansiato. Importante è la distinzione dalla paura, di cui il termine, infatti, non costituisce un sinonimo. Come specifica il Dizionario Internazionale di Psicoterapia, la paura «rappresenta la reazione di fronte a un pericolo che proviene dall’esterno, l’altra (cioè l’ansia, ndr), una volta “appresa”, esprime la presenza di un pericolo che viene dall’interno».
L’ansia in Europa
E nelle altre lingue europee questo significato come viene veicolato? Grazie a uno strumento presente online, abbiamo provato a creare una mappa dei modi con cui le lingue europee traducono ansia e scoperto che tutta l’area neolatina ha conservato una forma analoga: troviamo così anxiété in Francia, ansiedad in castigliano, ansietat in catalano, ansiedade in portoghese, anxietate in rumeno.
I paesi in cui si parlano lingue germaniche concordano in gran parte su angst (Germania, Danimarca, Olanda e Norvegia usano questo referente), con l’eccezione significativa del Regno Unito, dove troviamo anxiety. Più mossa la situazione nell’Europa orientale, come potete vedere dall’immagine seguente.

L’ansia fra i giovani
L’uso della parola ansia è particolarmente diffuso fra le generazioni più giovani, che vi ricorrono con una frequenza molto alta nel suo significato esteso di preoccupazione e agitazione. Così, se devono sostenere un’interrogazione, «sono in ansia», ma anche se – tornando alle possibili accezioni positive – c’è un evento che li elettrizza, potrebbero dire a un amico «zì, che ansia».
Fra i ragazzi «la parola ansia è utilizzata con maggiore consapevolezza» secondo la studiosa di linguaggio giovanile Beatrice Cristalli. «Per la generazione Z il tema della salute mentale non è più un tabu e anche su TikTok sono presenti diversi video dedicati, sia di specialisti e divulgatori che spiegano cos’è l’ansia sia di ragazzi che raccontano la propria esperienza. Sono numerosissimi, inoltre, i meme che usano questa parola». Già, meme come quelli che trovate qui sotto.
«Per quanto riguarda l’uso linguistico, è interessante l’uso di che sbatti, che non significa semplicemente che palle, ma è anzi connotato da un certo disagio. Mi manda in sbatti significa così mi mette angoscia, mi mette in difficoltà» conclude Cristalli.