Un libro che nel primo giorno ha registrato vendite stratosferiche e il cui titolo ha più livelli di interpretazione
Il libro di Harry ha iniziato a far discutere ben prima della pubblicazione. Fra i motivi di dibattito c’è anche il titolo, ma spare cosa significa? È legittimo che alcuni non solo non conoscano il significato di spare, ma non colgano anche alcune sfumature e livelli di interpretazione di questo che al tempo stesso in inglese può essere un sostantivo, un aggettivo o un verbo.
Spare, cosa significa quando è un verbo
È curioso che su WordReference (nella ricerca monolingue) spare abbia come primo significato risparmiare. Attenzione, non nel senso economico ma in quello di sottrarre qualcuno da una punizione o una pena: fa molto sorridere che l’esempio chiami in causa una regina: «The queen decided to spare the condemned man», cioè la regina decise di risparmiare il condannato. Un significato, questo, che potrebbe anche legarsi alla vicenda del principe Harry, che con le sue scelte è stato risparmiato dal protocollo e dal peso degli obblighi regali.
Fra gli altri possibili significati di spare come verbo ci sono l’analogo lesinare, ma anche prestare/dare.
Spare, cosa significa quando è un sostantivo
Quando è un sostantivo, spare significa ruota di scorta o pezzo di ricambio. È proprio questa l’accezione che i più riconoscono al titolo del libro del principe Harry, che lamenta – fra le molte cose – il fatto di essere sempre stato visto come un sostituto, nel caso in cui il fratello William – primo nella linea di successione – per qualche motivo non dovesse diventare re.
Poi, sì, spare è un sostantivo che alcuni di noi hanno già letto sullo schermo del bowling perché indica anche il mezzo strike. Ma qui possiamo considerarci distanti dai possibili significati riconducibili al libro di Harry.
Spare, cosa significa quando è un aggettivo
Ultimo e terzo bacino di significati è quello che si presenta quando spare è un aggettivo. Oltre al già citato di scorta e al noto spare time (tempo libero), è interessante che questo aggettivo possa significare anche sobrio e spartano: se è vero che Harry e Meghan hanno rinunciato ai fasti dei palazzi regali, è altrettanto innegabile che la loro casa statunitense non sia un esempio di parsimonia e frugalità. Insomma, su questo significato ci sarebbe da discutere molto e di sicuro i tabloid inglesi non perderanno tempo!
Spare, come si pronuncia
Sul fronte della pronuncia, per noi italiani ci sono buone notizie: spare è molto semplice perché dal punto di vista fonetico è uguale al nostro spero, ma senza la o finale. Ricordiamoci solo che la prima vocale è una e aperta, così come dovremmo pronunciarla in italiano standard (se non sai cosa sia, leggi qui).
Se hai letto altri articoli della serie «Come si dice?» fermati pure qui; in caso contrario continua perché è rilevante essere consapevoli di quanto segue.
Alla domanda «come si dice/scrive questa tal cosa?»un linguista risponderebbe «come la dici/scrivi tu». Questo perché la linguistica è una disciplina che descrive i fenomeni e non è lì pronta con la bacchetta in mano per darti una legnata se non usi il congiuntivo.
Il mantra di chi studia scientificamente il linguaggio è che una lingua è fatta dai parlanti. Siamo tutti noi, cioè, a selezionare le parole, le frasi, i modi e i tempi verbali che riteniamo più efficaci per comunicare i concetti che ci passano per la mente.
Detto ciò, è comunque importante sapere che delle regole grammaticali esistono. Esiste uno standard sia per quel che riguarda la lingua scritta sia per quella orale; ma non si tratta di un riferimento dogmatico che è eticamente immorale non conoscere. No, lo standard nasce per mettere in comunicazione i parlanti, per permette loro di capirsi agevolmente, di ritrovarsi su un terreno comune.
E gli standard, anche quelli, cambiano nel tempo: ciò che è considerato linguisticamente ineccepibile oggi, potrebbe non esserlo più domani. Di più: l’aderenza alla lingua standard è interpretata con maggiore o minor rigore a seconda del contesto in cui comunichiamo. Come sottolinea Gaetano Berruto nel suo Che cos’è la linguistica (Carocci), il linguista «per molti aspetti è la persona più indicata per farlo [dare giudizi sulle produzioni linguistiche, ndr]: ma il suo giudizio semmai non sarà di ‘giusto’ o ‘sbagliato’ in assoluto, bensì di ‘appropriato’ o ‘inappropriato’ in quel determinato contesto».
Un congiuntivo che scappa in un messaggio di WhatsApp non ha lo stesso “peso” di una dimenticanza analoga in un tema scolastico o in una presentazione di lavoro. Questo perché anche le nostre attese nei confronti di una presunta perfezione linguistica variano nei diversi luoghi (fisici e digitali) in cui scriviamo e parliamo. Quindi alla domanda «ma è giusto dire così?», un’altra risposta molto da linguista è «dipende dalla situazione in cui lo dici».
Infine, la bellezza della lingua sta (anche) nel fatto che non si smette mai di imparare. Anche il più blasonato lessicografo (il professionista che compila il dizionario) può non conoscere l’esatta posizione di un accento di una parola che, sì, esiste, ma in pochissimi ormai utilizzano.
Per questo la serie «come si dice?» deve essere sempre maneggiata con queste consapevolezze, ricordandoci che in fondo in fondo – ed esclusi contesti percentualmente meno ricorrenti – il minimo sindacale che possiamo pretendere da un atto comunicativo è far sì che il nostro interlocutore ci comprenda. Tutto il resto è pane per i grammarnazi (a cui dedichiamo una linguetta affettuosa di Linguinsta).
(Foto: Instagram/marklemeganoffical).