Cosa significa saper parlare italiano e, soprattutto, chi di noi lo fa davvero?
Le discussioni sulla lingua e sulla grammatica ci piacciono da morire. C’è poco da fare, quando si tirano in ballo congiuntivi, accenti e i vari “scendi il cane” non possiamo fare a meno di dire la nostra. Ed è un bene perché la lingua appartiene a tutti noi, siamo noi (e non i grammatici) che la manteniamo viva e la plasmiamo. Tuttavia su cosa sia effettivamente l’italiano standard c’è un po’ – tanta – confusione. Oggi che è la giornata nazionale del dialetto vorremmo capire perché.
L’italiano regionale
Ah, eccoci qui a tirar subito fuori un concetto sconosciuto a molti. Tutti sappiamo spannometricamente, infatti, cosa sia l’italiano (e ci torneremo) e cosa il dialetto. Ma in pochi sono consapevoli che fra questi due elementi si inserisce un terzo “incomodo” che ha un ruolo fondamentale. Perché, colpo di scena, in realtà tutti parlano un italiano regionale.
Com’è possibile?
Eh, è possibile, che ci crediate o no. Proviamo insieme a ripercorrere il processo. C’era una volta l’indoeuropeo… No, troppo indietro. Facciamo un salto di qualche secolo e arriviamo prima dell’Unità d’Italia a una situazione in cui nella nostra penisola c’erano di fatto molte lingue diverse, quelle che oggi chiamiamo dialetti: piemontese, milanese, napoletano, fiorentino e compagnia bella.
Dopo l’unificazione del Paese si cercò in qualche modo di creare un’identità nazionale anche attraverso la lingua. Un’unità linguistica raggiunta prima nella forma scritta che negli anni successivi ha mantenuto non solo un maggiore prestigio, ma anche una maggiore formalità. Prima ancora che tutti parlassero italiano, quindi, alcuni (non molti fino agli ultimi decenni del Novecento) scrivevano già in italiano. E la forma scritta della nostra lingua vide come colonna portante soprattutto il dialetto fiorentino che tuttavia non ha plasmato in modo esclusivo la nostra lingua attuale.
E l’italiano parlato?
Poveretto, lui è arrivato molto dopo. Si è affermato come lingua orale solo recentemente. Uno standard vero e proprio, quello che alcuni linguisti chiamano italiano neo standard, sta venendo fuori solo ora in un certo senso.
A livello parlato quindi a un certo punto è successo che molti italiani, che come lingua madre avevano il dialetto, hanno dovuto imparare l’italiano. Questa era una sorta di lingua straniera. E cosa succede quando un ragazzo italiano inizia a studiare e parlare, per esempio, l’inglese? Succede che traghetta nel suo inglese alcuni tratti della sua lingua madre, quello che tecnicamente si chiama sostrato linguistico. Il risultato può essere che il verbo think sia pronunciato tink, noncuranti del diverso suono iniziale.
Ecco, anche i dialettofoni (cioè coloro che parlano un dialetto) hanno portato nel loro italiano alcuni elementi distintivi della propria lingua materna. E poi hanno parlato quel loro italiano per una vita, insegnandolo ovviamente ai loro figli. E così via, generazione dopo generazione senza esclusione.
Capite quindi quanto è complessa la situazione? Ogni regione ha di fatto un italiano che “porta i segni” del dialetto che prima tutti parlavano in quella zona e in un certo senso nessuno parla l’italiano con la i maiuscola.
(Foto: unsplash.com).