Un’iniziativa superlativa dove trovare oltre 26mila voci scritte in siciliano, un dialetto di cui oggi vi raccontiamo cinque curiosità
Provate, voi stessi. Andate su Google e digitate, ad esempio, carusu, che corrisponde all’italiano ragazzo. Se i cookie non mi ingannano, il secondo risultato dovrebbe essere proprio Wikipedia. Ma cliccandoci sopra, sorpresa bellissima, non si finisce sulla versione italiana di Wikipedia, bensì su quella siciliana.
Il messaggio di benvenuto non lascia spazio a dubbi: Salutamu. Chista è la Wikipedia n sicilianu, la nciclupidìa unni cuegghiè pò scrìviri e pò jùnciri palori novi e ca accamora havi 26 078 artìculi. Pruvati a scrìviri n sicilianu e n picca tempu vi veni fàcili.
Un’iniziativa che dovrebbe essere imitata da tutte le altre lingue/dialetti (non entriamo nel ginepraio qui) italiani. Questa scoperta ci ha ispirati e oggi con voi vogliamo ripercorrere cinque caratteristiche della lingua che si parla nella stupenda Sicilia.
Dialetto o lingua?
Bella domanda, perché a seconda dell’istituzione che si prende in considerazione la risposta cambia. Vero è che molti dialetti italiani da un punto di vista linguistico potrebbero ricevere lo status di lingua a tutti gli effetti. L’UNESCO è d’accordo con questa visione e considera il siciliano una lingua madre secondo quanto riporta proprio Wikipedia.
Sapete cosa significa questo? Che tutti i siciliani che parlano italiano possono essere considerati a tutti gli effetti bilingui.
Detto ciò, anche per rispettare la differenza fra dialetti e lingua standard del nostro paese, l’italiano, in questo articolo parleremo di dialetto siciliano.
Con quali dialetti è imparentato
Attenzione, parliamo di parentela linguistica, quindi non scaldatevi se non vi piacciono le cugine del siciliano. Ecco, questo dialetto fa parte del gruppo dei dialetti italiani meridionali estremi; nella stessa famigghia troviamo il calabrese, ma non tutto, bensì solo quello delle aree centro meridionali della regione. Terzo membro è il salentino, che include l’insieme delle parlate della parte più meridionale della Puglia.
Una grande famiglia
All’interno del dialetto siciliano sono individuabili alcuni sottogruppi. Come potrete immaginare questo dialetto non ha le stesse identiche realizzazioni a Palermo e a Catania; fa sorridere, ad esempio, l’annosa disputa sul genere sessuale dell’arancin-, che è femminuccia nella prima, maschietto nella seconda.
Fra le diverse varietà di siciliano vale la pena ricordare almeno il pantesco, variante dell’isola di Pantelleria, e l’eoliano.
Le vocali
Qui si scopre una cosetta sfiziosa. Non so se ci abbiate mai fatto caso, ma chi parla siciliano tende a pronunciare le vocali in modo piuttosto aperto (altro che i piemontesi…). Ecco, questo avviene perché, a differenza dell’italiano che ha sette suoni per le vocali, il siciliano ne ha solo cinque. È un sistema pentavocalico che non include la o e la e chiuse.
Un grande bagaglio di influenze
Non sono stati i turisti ai tempi di TripAdvisor a essersi accorti della bellezza di quest’isola. No, la Sicilia ha attratto visitatori, spesso non benaccetti, dalla notte dei tempi. Gli invasori non sono mancati e hanno lasciato segni visibili sulla lingua di questa terra.
I legami con il greco e il latino sono forse piuttosto noti; ma nel siciliano si riscontrano tracce anche dell’arabo, del franco-provenzale, e delle lingue della Spagna odierna, castigliano e catalano.
Una veloce carrellata fa saltare fuori che una parola di uso quotidiano come il già citato carusu deriva molto probabilmente dal greco koùros.
Molti toponimi, cioè i nomi dei luoghi, sono di derivazione araba, fra cui Caltanisetta, Caltagirone, Marzamemi e Marsala. Non solo: anche alcuni cognomi molto diffusi, fra cui Zappalà, derivano da termini arabi, così come parole legate all’agricoltura fra cui la celebre carrubba.
Non è poi difficile notare la somiglianza di alcune coppie di parole in siciliano e nell’odierno francese (per tramite del franco-provenzale); per fare due soli esempi: mustazzu e moustache per baffi, accattari e acheter per comprare.
Fra le lingue che più hanno segnato il siciliano ci sono poi quelle iberiche. L’influenza è stata talmente forte da interessare anche la grammatica. Così non dovremmo considerare segno di ignoranza l’utilizzo della preposizione a prima di un complemento oggetto. Traducendo in italiano, il siciliano direbbe vedo a tuo padre; ecco questa struttura deriva proprio dal castigliano dove esiste la stessa costruzione.
Non si tratta quindi di sbagliare a parlare; ecco, a proposito, anche il siciliano per sbagliare, sgarrari, arriva dal catalano esguerrar!
(Foto: pixabay.com).