Il nome di questo Paese è spesso pronunciato con accenti diversi: quale sarebbe quello corretto?
Purtroppo dopo l’attacco da parte della Russia, la parola ucraina risuona ovunque. Come si pronuncia però? Avrai notato, anche solo ascoltando un telegiornale, che alcuni posizionano l’accento in un modo, altri in un altro. Non è un dramma, né un fatto sconvolgente: alcune parole vengono costantemente pronunciate con l’accento scorretto, come avviene con scandinavo o salubre.
Nel caso della pronuncia di ucraina, le alternative sono sostanzialmente due: c’è chi fa cadere l’accento sulla prima a (ucràina) e chi invece sulla i (ucraìna); alcuni fanno fatica a riprodurre gli accenti tonici, quindi per intenderci, la seconda opzione è quella che fa rima con piccolina.
A chi di noi è solito suggerire la propria versione come l’unica accettabile raccomandiamo un dietrofront. Già, entrambe infatti sono accettabili nell’italiano contemporaneo, così come accade con diverse parole della nostra lingua interessate dal fenomeno dello spostamento dell’accento (in parole povere, nel corso di molti anni, può succedere che l’accento di una parola si sposti su un’altra sillaba). Nel caso della pronuncia di ucraina, la versione antica in ucraino e russo vedeva l’accento sulla a; però negli ultimi secoli questa accentazione è vista come obsoleta ed ha riscosso il favore dei parlanti la versione con l’accento sulla i (Ukraìna, ukraìnskij), quella che fa rima con piccolina. Quindi, se volessimo allinearci all’ucraino e al russo di oggi, dovremmo propendere per quest’ultima soluzione, nella consapevolezza però che entrambi gli accenti sono accettabili.
Se hai letto altri articoli della serie «Come si dice?» fermati pure qui; in caso contrario continua perché è rilevante essere consapevoli di quanto segue.
Alla domanda «come si dice/scrive questa tal cosa?» un linguista risponderebbe «come la dici/scrivi tu». Questo perché la linguistica è una disciplina che descrive i fenomeni e non è lì pronta con la bacchetta in mano per darti una legnata se non usi il congiuntivo.
Il mantra di chi studia scientificamente il linguaggio è che una lingua è fatta dai parlanti. Siamo tutti noi, cioè, a selezionare le parole, le frasi, i modi e i tempi verbali che riteniamo più efficaci per comunicare i concetti che ci passano per la mente.
Detto ciò, è comunque importante sapere che delle regole grammaticali esistono. Esiste uno standard sia per quel che riguarda la lingua scritta sia per quella orale; ma non si tratta di un riferimento dogmatico che è eticamente immorale non conoscere. No, lo standard nasce per mettere in comunicazione i parlanti, per permette loro di capirsi agevolmente, di ritrovarsi su un terreno comune.
E gli standard, anche quelli, cambiano nel tempo: ciò che è considerato linguisticamente ineccepibile oggi, potrebbe non esserlo più domani. Di più: l’aderenza alla lingua standard è interpretata con maggiore o minor rigore a seconda del contesto in cui comunichiamo. Come sottolinea Gaetano Berruto nel suo Che cos’è la linguistica (Carocci), il linguista «per molti aspetti è la persona più indicata per farlo [dare giudizi sulle produzioni linguistiche, ndr]: ma il suo giudizio semmai non sarà di ‘giusto’ o ‘sbagliato’ in assoluto, bensì di ‘appropriato’ o ‘inappropriato’ in quel determinato contesto».
Un congiuntivo che scappa in un messaggio di WhatsApp non ha lo stesso “peso” di una dimenticanza analoga in un tema scolastico o in una presentazione di lavoro. Questo perché anche le nostre attese nei confronti di una presunta perfezione linguistica variano nei diversi luoghi (fisici e digitali) in cui scriviamo e parliamo. Quindi alla domanda «ma è giusto dire così?», un’altra risposta molto da linguista è «dipende dalla situazione in cui lo dici».
Infine, la bellezza della lingua sta (anche) nel fatto che non si smette mai di imparare. Anche il più blasonato lessicografo (il professionista che compila il dizionario) può non conoscere l’esatta posizione di un accento di una parola che, sì, esiste, ma in pochissimi ormai utilizzano.
Per questo la serie «come si dice?» deve essere sempre maneggiata con queste consapevolezze, ricordandoci che in fondo in fondo – ed esclusi contesti percentualmente meno ricorrenti – il minimo sindacale che possiamo pretendere da un atto comunicativo è far sì che il nostro interlocutore ci comprenda. Tutto il resto è pane per i grammarnazi (a cui dedichiamo una linguetta affettuosa di Linguinsta).