L’inglese dispone di consonanti, vocali e intonazioni sconosciute all’italiano: ecco alcune specificità della sua pronuncia che spesso ignoriamo
Chi di noi non ha mai avuto un po’ di timore nel parlare in inglese? Come per qualsiasi lingua straniera, quando si tratta di comunicare, è la pronuncia che molto spesso desta le maggiori preoccupazioni. Anche se abbiamo studiato l’inglese per anni lungo il percorso scolastico, il più delle volte siamo colti da una vera e propria “ansia da prestazione linguistica” che ci trattiene anche solo dal formulare una semplice domanda. Ma quali sono le difficoltà più grandi che riscontra normalmente un italiano nel parlare la “lingua della regina”? E perché pensiamo di avere una “cattiva pronuncia”? Comprensibilmente non c’è un’unica ragione, ma cerchiamo di capire il perché.
Quanti inglesi?
Una piccola premessa è indispensabile. Quando si parla di – e in – inglese non si deve pensare a una sola e unica pronuncia. Infatti, per via dell’estrema eterogeneità di questa lingua (parlata oggi in ogni angolo del pianeta e in termini numerici da più non nativi che dai nativi stessi), gli studiosi riconoscono una pluralità di “inglesi”. Nel campo glottodidattico sono due però le varietà standard di inglese più studiate: quella americana (General American) e quella britannica (Standard British English), a cui si aggiunge la nota Received Pronunciation, prestigioso accento di successo in Europa, oggi utilizzato da una piccolissima minoranza di inglesi nativi. È da questi standard che si è ricavata una sintesi inclusiva dei suoni caratteristici e più comuni che costituiscono quella che intendiamo come “pronuncia inglese”.
Le bestie nere della pronuncia inglese per gli italiani
Per analizzare le difficoltà riscontrate dagli italiani, è utile partire dalle differenze dei due sistemi fonologici, cioè, banalmente, dai suoni diversi che troviamo nelle due lingue.
L’italiano ha sei fonemi consonantici in meno rispetto all’inglese; fra questi /θ/ di teeth o think, /ð/ di mother, the, this o l’aspirazione del fonema /h/ a inizio parola (come in hotel, help, hard) che non esiste nella nostra lingua, se non a livello ortografico (cioè si scrive ma non si pronuncia).
È però nel sistema delle vocali che l’inglese e l’italiano variano maggiormente: se in italiano infatti abbiamo sette suoni vocalici (sì, sette e non cinque!), in inglese ce ne sono circa venti, tra vocali lunghe e brevi, a cui si devono aggiungere poi svariati dittonghi. A questo proposito, sottolineiamo che mentre in italiano la lunghezza delle vocali non è distintiva (come lo era in latino), in inglese lo è: coppie di parole come full-fool, lid-lead, ship-sheep si differenziano proprio per il prolungamento della pronuncia della vocale, che ne discrimina il significato (attenzione qui a non confondere sheet con shit…). Tra le vocali che destano maggiori difficoltà di pronuncia, c’è poi lo schwa /ə/, suono sconosciuto all’italiano standard (ma presente, ad esempio, nel napoletano jamme), recentemente al centro del dibattito pubblico in quanto una delle proposte per aumentare l’inclusività della lingua, superando il binarismo maschile/femminile. Lo schwa è una vocale centrale media, un suono neutro tipico delle sillabe non accentate e altamente frequente in inglese, che noi italofoni tendiamo a sostituire con vocali più “familiari” (come la [e] o la [a]), ad esempio in parole come about o awaken.
Oltre ai suoni singoli, percepiamo poi che anche aspetti più complessi della pronuncia (i fenomeni prosodici in linguistica) come l’accento (stress), l’intonazione delle frasi e il ritmo delle due lingue sono molto diversi. Per fare un esempio, sia le cosiddette “question tags” (Do you speak Spanish, don’t you?) che le “wh-questions” (What is she doing?) in inglese si pronunciano con intonazione discendente, quando in italiano queste costruzioni sono poste tipicamente mediante un innalzamento del tono della voce.
C’è di più: quando molte volte fatichiamo a capire un discorso in inglese, non è tanto perché “gli inglesi parlano troppo velocemente”, ma perché l’inglese “tronca” – cioè non pronuncia – molte delle sillabe non accentate delle parole. In questo modo le frasi risultano più “compresse” rispetto a quelle della nostra lingua, in cui tutte le sillabe sono scandite – e pronunciate – e hanno la stessa durata. Alle nostre orecchie quindi, il ritmo dell’italiano è sicuramente più “equilibrato”, mentre quello dell’inglese, se vogliamo, più “sincopato”.
Last but not least: tra le bestie nere della pronuncia inglese per un italiano va sicuramente ricordata l’influenza dell’ortografia inglese sul parlato. Come ben sentiamo, a differenza della nostra lingua, lo spelling inglese è fortemente distaccato dalla pronuncia delle parole. Questo “inconveniente”, dovuto principalmente a ragioni storico-linguistiche, fa sì che oggi la grafia inglese sia estremamente più conservativa rispetto alla lingua orale (la seconda, insomma, evolve con maggiore velocità rispetto alla prima). Tra le tante insidie troviamo ad esempio incontri di consonanti in cui spesso non sono pronunciate alcune lettere (silent letters) come〈b〉in climb e bomb,〈bt〉in debt e doubt,〈ps〉come in psychology,〈kn〉in know e knife,〈s〉in island e aisle,〈t〉in listen e castle. E poi, tanti auguri nel pronunciare correttamente through, tough, thorough, thought, though…!
Ma non scoraggiamoci! Se da un lato è normale che la pronuncia di una lingua straniera in apprendimento sia guidata dagli automatismi di produzione orale consolidati nella propria lingua madre, dall’altro è sempre possibile allenarsi e migliorarsi. Ricordiamo poi che il parlare una nuova lingua è sempre frutto di un processo graduale e delicato. Il segreto è ascoltare tanto (meglio se accenti di diverse varietà di inglese), parlare tanto, “sbagliare” tanto! E non guasterebbe anche una didattica incentrata sulla pronuncia – o per lo meno con più enfasi – nell’insegnamento delle lingue, per diminuire le insicurezze interazionali che spesso limitano le nostre potenzialità espressive.
Luca Zauli