Come si scrive: valigie o valige?

Una regola grammaticale per le parole che finiscono con le lettere -cia e -gia esiste e ci leva il dubbio una volta per tutte

Non sono poche le parole che ciclicamente ci costringono a fare un controllo su Google (e non c’è niente di male, dopo ti spieghiamo il perché). Il plurale di valigia è una di queste. Ci va la i oppure no? Cavolo, non me lo ricordo mai!

Una regola grammaticale c’è ed è quella che riguarda i nomi che al singolare finiscono in -cia e -gia (attenzione, solo quelli in cui l’accento non cade sulla i). Al plurale queste parole vogliono la i solo se la c e la g sono precedute da una vocale.

Quindi la risposta alla domanda del titolo è valigie, con la i. Se invece volessimo scrivere il plurale, ad esempio, il plurale di fascia, allora la non ci andrebbe perché la c è preceduta da una consonante.

È importante sottolineare il verbo scrivere. Sì, perché nel parlato che al plurale ci sia la i o meno, poco cambia: in entrambi i casi, infatti, il suono sarebbe – nel caso di valigie – lo stesso.

Se hai letto altri articoli della serie Come si dice/scrive? fermati pure qui; in caso contrario continua perché è rilevante essere consapevoli di quanto segue.

Alla domanda «come si dice/scrive questa tal cosa?», un linguista risponderebbe «come la dici/scrivi tu». Questo perché la linguistica è una disciplina che descrive i fenomeni e non è lì pronta con la bacchetta in mano per darti una legnata se non usi il congiuntivo.

Il mantra di chi studia scientificamente il linguaggio è sempre che la lingua è fatta dai parlanti. Siamo tutti noi, cioè, a selezionare le parole, le frasi, i modi e i tempi verbali che riteniamo più efficaci per comunicare i concetti che ci passano per la mente.

Detto ciò, è comunque importante sapere che delle regole grammaticali esistono. Esiste uno standard sia per quel che riguarda la lingua scritta sia per quella orale; ma non si tratta di un riferimento dogmatico che è eticamente immorale non conoscere. No, lo standard nasce per mettere in comunicazione i parlanti, per permettere loro di capirsi agevolmente, di ritrovarsi su un terreno comune.

E gli standard, anche quelli, cambiano nel tempo: ciò che è considerato linguisticamente ineccepibile oggi, potrebbe non esserlo più domani. Di più: gli standard sono interpretati con maggiore o minor rigore a seconda del contesto in cui comunichiamo.

Un congiuntivo che scappa in un messaggio di WhatsApp non ha lo stesso “peso” di una dimenticanza analoga in un tema scolastico o in una presentazione di lavoro. Questo perché anche le nostre attese nei confronti di una presunta perfezione linguistica variano nei diversi luoghi (fisici e digitali) in cui scriviamo e parliamo. Quindi alla domanda «ma è giusto dire così?», un’altra risposta molto da linguista è «dipende dalla situazione in cui lo dici».

Infine, come abbiamo sentito ripetere spesso alla sociolinguista Vera Gheno – un concetto che sottoscriviamo con tutte le penne di cui possiamo disporre – la bellezza della lingua sta (anche) nel fatto che non si smette mai di imparare. Anche il più blasonato lessicografo (il professionista che compila il dizionario) può non conoscere l’esatta posizione di un accento di una parola che sì, esiste, ma che in pochissimi ormai utilizzano.

Per questo la serie Come si dice/scrive? deve essere sempre maneggiata con queste consapevolezze, ricordandoci che in fondo in fondo – ed esclusi contesti percentualmente poco ricorrenti – il minimo sindacale che possiamo pretendere da un atto comunicativo è far sì che il nostro interlocutore ci comprenda. Tutto il resto è pane per i grammarnazi (a cui dedichiamo una linguetta affettuosa di Linguinsta).