Come si dice: la pronuncia corretta di Biden

Sul cognome del 46° presidente degli Stati Uniti se ne sentono di tutti i suoni

Difficile immaginare una persona più visibile del presidente degli Stati Uniti. Domani si insedia – e di conseguenza inizia il suo mandato ufficialmente – Joe Biden. Il suo cognome dovremmo averlo sentito in molteplici contesti ormai; eppure, non è raro ascoltare qualche pronuncia improbabile anche sui mezzi di informazione come vedete dal video qui sotto.

Confessione: anche io all’inizio l’ho pronunciato più volte in modo sbagliato. Da un punto di vista fonetico le opzioni che possono venire in mente a un italiano sono quattro: biden con l’accento sulla i o sulla e (forse per analogia con bidet?), oppure baiden con l’accento che potrebbe oscillare fra la a e la e.

Bene, se volessimo fare i puristissimi nessuna di queste è corrette. Cliccando facilmente sulla voce corrispondente di Wikipedia, sorpresa delle sorprese, si scopre che il nome del presidente è trascritto anche con l’IPA, l’alfabetico fonetico, cioè quello che con una sorta di paradosso logico scrive i suoni.

Bene, la trascrizione fonetica del cognome di Joe Biden è ˈbaɪdən. Sembra arabo? No dai, c’è molto di peggio, ve lo assicuriamo. L’apostrofo ci dice che l’accento cade sulla prima vocale e che di fatto la pronuncia più corretta è la terza fra quelle elencate sopra: bàiden. Se volessimo spaccare però il capello in dieci parti, quella e lì non si pronuncia affatto come la e di cane. No, il suono è quello dello scwha, vocale media (o indistinta) per eccellenza: non dobbiamo insomma pronunciarla “piena” ma, per dare un riferimento nostrano, è lo stesso “non suono” della e del napoletano jamme, in cui sembra in realtà che ci sia solo una m un po’ intensa (ma così non è). Ci sarebbe anche una parentesi da aprire sulla i, ma la non vorremmo andare in overdose di pignoleria, ecco.

Se hai letto altri articoli della serie Come si dice/scrive? fermati pure qui; in caso contrario continua perché è rilevante che tu sia consapevole di quanto segue.

Alla domanda «come si dice/scrive questa tal cosa?», un linguista risponderebbe «come la dici/scrivi tu». Questo perché la linguistica è una disciplina che descrive i fenomeni e non è lì pronta con la bacchetta in mano per darti una legnata se non usi il congiuntivo.

Il mantra di chi studia scientificamente il linguaggio è sempre che la lingua è fatta dai parlanti. Siamo tutti noi, cioè, a selezionare le parole, le frasi, i modi e i tempi verbali che riteniamo più efficaci per comunicare i concetti che ci passano per la mente.

Detto ciò, è comunque importante sapere che delle regole grammaticali esistono. Esiste uno standard sia per quel che riguarda la lingua scritta sia per quella orale; ma non si tratta di un riferimento dogmatico che è eticamente immorale non conoscere. No, lo standard nasce per mettere in comunicazione i parlanti, per permettere loro di capirsi agevolmente, di ritrovarsi su un terreno comune.

E gli standard, anche quelli, cambiano nel tempo: ciò che è considerato linguisticamente ineccepibile oggi, potrebbe non esserlo più domani. Di più: gli standard sono interpretati con maggiore o minor rigore a seconda del contesto in cui comunichiamo.

Un congiuntivo che scappa in un messaggio di WhatsApp non ha lo stesso “peso” di una dimenticanza analoga in un tema scolastico o in una presentazione di lavoro. Questo perché anche le nostre attese nei confronti di una presunta perfezione linguistica variano nei diversi luoghi (fisici e digitali) in cui scriviamo e parliamo. Quindi alla domanda «ma è giusto dire così?», un’altra risposta molto da linguista è «dipende dalla situazione in cui lo dici».

Infine, come abbiamo sentito ripetere spesso alla sociolinguista Vera Gheno – un concetto che sottoscriviamo con tutte le penne di cui possiamo disporre – la bellezza della lingua sta (anche) nel fatto che non si smette mai di imparare. Anche il più blasonato lessicografo (il professionista che compila il dizionario) può non conoscere l’esatta posizione di un accento di una parola che sì, esiste, ma che in pochissimi ormai utilizzano.

Per questo la serie Come si dice/scrive? deve essere sempre maneggiata con queste consapevolezze, ricordandoci che in fondo in fondo – ed esclusi contesti percentualmente poco ricorrenti – il minimo sindacale che possiamo pretendere da un atto comunicativo è far sì che il nostro interlocutore ci comprenda. Tutto il resto è pane per i grammarnazi (a cui dedichiamo una linguetta affettuosa di Linguinsta).