Un algoritmo per il linguaggio potrebbe salvarci dalla Covid19

È la scoperta di un gruppo di biologi computazionali del MIT di Boston che ci aiuterebbe nella creazione di vaccini per le varianti dei virus

Qualche anno fa, quando ancora non era uno dei volti – credo suo malgrado – più noti della televisione, ho intervistato per Vanity Fair il professor Galli. Parlavamo – guarda un po’ – di influenza e, fra le altre cose, mi spiegò un processo che mi sorprese: ogni anno si cerca di dedurre quale sarà la variante di virus influenzale in circolazione l’anno seguente e di conseguenza si produce in anticipo – sulla base di queste supposizioni – un vaccino efficace.

Cosa significa questo? Che in “tempi di pace” il vaccino prodotto – serve molto tempo, ormai lo sappiamo bene – e somministrato ai soggetti più esposti è pensato per una variante specifica (in alcuni casi vale per più varianti non troppo diverse fra loro); se malauguratamente la variante in circolazione è un’altra, sorgono diversi problemi in termini di tempo e di esposizione della popolazione.

Questo ragionamento potrebbe sorprendere soprattutto coloro che, una volta vaccinati, pensano di essere al riparo da qualsiasi tipo di virus influenzale. Così non è, di fatto, e oggi ne sono consapevoli molte più persone. Ma attenzione, non è colpa dei virologi o della scienza: semplicemente i virus mutano, evolvono, con una certa velocità e stargli dietro non è affatto semplice.

Almeno, forse, fino a oggi. Sembra infatti che ci sia una speranza in più di colmare lo scarto che ci affanna nella corsa alla creazione di vaccini. E indovinate da dove arriva? Dalla linguistica e dal linguaggio, meraviglia!

Al Massachusetts Institute of Technology (MIT), infatti, un gruppo di ricercatori guidato da Brian Hie ha scoperto che un algoritmo originariamente pensato per riprodurre il linguaggio umano potrebbe rivelarsi utile per predire le variazioni di diversi virus, incluso quello che scatena la Covid19 (femminile, sì, e qui vi spieghiamo il perché).

Ma cosa potranno mai avere in comune linguaggio e virus? Come riporta Wired, Hie ha pensato di considerare le sequenze virali alla stregua della lingua scritta. In questa analogia ogni sequenza ha una sorta di grammatica e delle regole da seguire per costituire una variante specifica. Inoltre, proprio come accade nel linguaggio, la sequenza ha una specie di significato, di semantica: il nostro sistema immunitario comprende solo alcuni di questi significati (le altre sequenze parlano una lingua sconosciuta) e interviene di conseguenza per placarle. L’intuizione di Hie è quella di considerare l’evoluzione che un virus innesca per sfuggire agli anticorpi come una mutazione di significato, ma con la preservazione della stessa grammatica.

Lo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Science e le varianti inglesi e sudafricana del nuovo coronavirus sono state sottoposte a una prova. Ora si attende la pubblicazione dei risultati di questo test che si spera possa darci qualche speranza in più in questo percorso ambizioso che stiamo percorrendo.