Cari architetti, almeno voi, imparate l’accento corretto di edile

La nuova puntata della serie «Come si dice» è dedicata a edile, una parola che usiamo frequentemente con l’accento sbagliato

Le parole che pronunciamo spesso con l’accento sbagliato non sono poche: nelle settimane scorse abbiamo visto, ad esempio, scandinavo e salubre. Oggi invece ci occupiamo del aggettivo (e sostantivo) edile.

Pochi giorni fa mi è capitato di assistere a una diretta Instagram – le facciamo anche noi di Linguinsta e trovate il calendario qui – in cui un architetto con una solida esperienza a un certo punto ha menzionato un’impresa edile. Il caso ha voluto che io abbia moltissimi amici e amiche progettisti e non è raro che senta questa parola pronunciata in modo scorretto.

E d’accordo, moltissime persone sbagliano l’accento di edile, però, ecco, se fossi un architetto ci dedicherei un attimo di attenzione. Anche nel caso di edile sembra infatti che sia in atto la vittoria di un uso scorretto sulla regola. Ma questo non ci esenta dall’avere consapevolezza che si tratta un’imprecisione radicata nel sistema linguistico.

Come si pronuncia quindi sto benedetto aggettivo/sostantivo? Ebbene, con l’accento sulla ì, e non sulla e come fanno quasi tutti: edìle è la pronuncia corretta. La domanda che ci preme ancora di più è: perché quasi tutti ricorrono all’altra accentazione? Ce lo spiega il Nuovo Devoto Oli: «sull’anticipazione della sillaba tonica ha influito la serie degli aggettivi in -ile come àbile, àgile, èsile, fàcile, sìmile, vìgile, tutti con accentazione sdrucciola».

In parole poverissime accade questo: nella nostra lingua ci sono altre parole dalla struttura simile (finiscono in -ile e alcune iniziano pure con una vocale) che utilizziamo frequentemente; il nostro cervello tende a creare degli schemi che gli permettono in qualche modo di risparmiare energia: si tratta di scelte economiche da un punto di vista linguistico. Quindi associa l’uso – per la maggior parte di noi piuttosto saltuario – di edile a quello di parole più ricorrenti come abile e simile.

Se hai letto altri articoli della serie Come si dice/scrive? fermati pure qui; in caso contrario continua perché è rilevante essere consapevoli di quanto segue.

Alla domanda «come si dice/scrive questa tal cosa?», un linguista risponderebbe «come la dici/scrivi tu». Questo perché la linguistica è una disciplina che descrive i fenomeni, e non è lì pronta con la bacchetta in mano per darti una legnata se non usi il congiuntivo.

Il mantra di chi studia scientificamente il linguaggio è sempre che la lingua è fatta dai parlanti. Siamo tutti noi, cioè, a selezionare le parole, le frasi, i modi e i tempi verbali che riteniamo più efficaci per comunicare i concetti che ci passano per la mente.

Detto ciò, è comunque importante sapere che delle regole grammaticali esistono. Esiste uno standard sia per quel che riguarda la lingua scritta sia per quella orale; ma non si tratta di un riferimento dogmatico che è eticamente immorale non conoscere. No, lo standard nasce per mettere in comunicazione i parlanti, per permettere loro di capirsi agevolmente, di incontrarsi su un terreno comune.

E gli standard, anche quelli, cambiano nel tempo: ciò che è considerato linguisticamente ineccepibile oggi, potrebbe non esserlo più domani. Di più: gli standard sono interpretati con maggiore o minor rigore a seconda del contesto in cui comunichiamo.

Un congiuntivo che scappa in un messaggio di WhatsApp non ha lo stesso “peso” di una dimenticanza analoga in un tema scolastico o in una presentazione di lavoro. Questo perché anche le nostre attese nei confronti di una presunta perfezione linguistica variano nei diversi luoghi (fisici e digitali) in cui scriviamo e parliamo. Quindi alla domanda «ma è giusto dire così?», un’altra risposta molto da linguista è «dipende dalla situazione in cui lo dici».

Infine, come abbiamo sentito ripetere spesso alla sociolinguista Vera Gheno – un concetto che sottoscriviamo con tutte le penne di cui possiamo disporre – la bellezza della lingua sta (anche) nel fatto che non si smette mai di imparare. Anche il più blasonato lessicografo (il professionista che compila il dizionario) può non conoscere l’esatta posizione di un accento di una parola che sì, esiste, ma che in pochissimi ormai utilizzano.

Per questo la serie Come si dice/scrive? deve essere sempre maneggiata con queste consapevolezze, ricordandoci che in fondo in fondo – ed esclusi contesti percentualmente poco ricorrenti – il minimo sindacale che possiamo pretendere da un atto comunicativo è far sì che il nostro interlocutore ci comprenda. Tutto il resto è pane per i grammarnazi (a cui dedichiamo una linguetta affettuosa di Linguinsta).