Abusare di termini inglesi al lavoro non è un po’ ridicolo?

Non sono pochi gli italiani che abusano di termini inglesi anche quando sono disponibili parole italiane

I cambiamenti che interessano la lingua sono difficilmente arrestabili con buona pace di tutti coloro che – me compreso – amano il congiuntivo o l’uso grammaticalmente corretto del piuttosto che. È triste per alcuni, ma la lingua viene plasmata dall’uso come abbiamo visto insieme qui.

Poi è normale che a ognuno di noi sorgano pruriti per questioni diverse. Personalmente, l’ab-uso di anglicismi non mi sconfinfera affatto. Lo trovo in alcune occasioni bizzarro, in altre insensato, in altre infine ridicolo. Anzi, ridicolizzante.

Ma perché mai dovremmo arrivare a dire: «domani ci vediamo per un lunch?». Ad alcuni di voi sembrerà esagerato come esempio, ma vi assicuro che negli ambienti professionali di Milano (e non solo) non è così infrequente la sostituzione di pranzo con lunch. Sarà un mio limite con retaggi pseudopatriottici, ma mi fa accapponare la pelle.

E non sono il solo. A Taranto mi è capitato di parlare con Luigi Latini, amministratore delegato di Icona Meteo con un grande interesse per le questioni che ruotano intorno alla lingua. Mi ha stupito perché era non solo infastidito, ma furioso per l’uso superfluo di un numero crescente di parole inglesi.

Chiariamoci: dalla notte dei tempi tutte le lingue prendono in prestito parole da altri sistemi linguistici (non ritorno nel dettaglio sulla questione di cui abbiamo parlato qui). Però nel contesto comunicativo professionale sembra che in alcuni casi la faccenda stia sfuggendo un po’ di mano.

Alcune sono talmente ricorrenti che sembrano essere diventate indispensabili. Cambridge English, che da oltre 80 anni certifica il nostro livello di lingua inglese, ne ha raccolte dieci: smart, call, briefing, brainstorming, feedback, workshop, ASAP, mission, know how e meeting.

E la cosa che mi stupisce di più è che tutte, e dico tutte, hanno una traduzione piuttosto semplice in italiano. Provate voi stessi e non farete molta difficoltà.

Poi è altresì vero che alcune di queste parole, pur avendo un corrispettivo italiano, hanno assunto sfumature leggermente differenti. Smart ad esempio: tradurla solo con intelligente è riduttivo; o meglio, quando oggi usiamo smart pensiamo a qualcuno che è sì intelligente, ma anche un po’ fico, no?

Lo stesso discorso non si applica a call: una chiamata è una chiamata, punto. Se si fa con il video, diventa una videochiamata. Usare call è ridicolo e io mi sento ridicolo quando a forza di sentire gli altri utilizzare questo termine vi faccio inconsapevolmente ricorso.

Il briefing è una riunione per dare istruzioni; qui il successo nell’ambito del marketing è forse da ascrivere alla maggiore sinteticità. In termini linguistici si direbbe che è una soluzione più economica cioè che comporta minor sforzo – anche fisico – per essere prodotta. Un discorso analogo vale per brainstorming che con una parola traduce il confronto di idee nostrano e per – orrore – ASAP, acronimo di as soon as possible, cioè il prima possibile. Quest’ultimo porta con sé anche un rischio di incomprensione, quindi di incomunicabilità, cospicuo; ed è il colmo parlare con una persona che conosce la tua lingua e non essere capito perché si fa ricorso a una sigla straniera; mi pare sinceramente folle.

Feedback sembra totalmente superfluo perché non ha meriti particolari per sostituire il nostro commento o giudizio. Analogo il caso di workshop per laboratorio. Anche mission per missione (hai tolto una e, wow), know how per conoscenza e meeting per riunione fanno sorridere: sono totalmente inutili da un punto di vista di trasmissione del messaggio. Non aggiungono niente, se non il rischio di passare per uno che pensa di essere più cool (!) solo perché usa parole straniere.