Taranto: 5 cose che dovreste sapere sul suo dialetto

Una città affascinante e con alcune particolarità linguistiche che svelano dettagli della sua storia movimentata

La canzone di Caparezza invita l’ascoltatore ad andare a ballare in Puglia. E invece noi oggi, da buoni Linguinsti, vorremmo andare e parlare in Puglia. 

In realtà fra qualche giorno ci andrò fisicamente per prendere parte a EGO, un festival dedicato al mondo della formazione e del lavoro nel settore enogastronomico che sta facendo parlare di sé. 

In programma dal 16 al 18 febbraio a Taranto, questa rassegna ha un titolo linguisticamente interessante: EGO, acronimo di Eno Gastro Orbite, gioca sulla parola enogastronomia introducendo però un termine che nelle intenzioni della sua ideatrice, Monica Caradonna ha un valore notevole. «In una regione dal grande appeal turistico come la Puglia, molto orbita intorno all’enogastronomia. E nel termine orbita è insito il senso del movimento che nel nostro caso è quello verso il futuro; con Martino Ruggeri, direttore scientifico del festival, ci siamo chiesti dove stia andando il mondo enogastronomico e grazie a EGO vorremmo affrontare questa importante domanda» ci spiega.

Ma tornando dall’enogastronomia alla linguistica, oggi vorremmo dedicare un po’ di attenzione al dialetto della città di Taranto che ospita EGO. In cinque pennellate cerchiamo di capire cosa ha di speciale questa parlata.

  1. Un dialetto comunale

Sì, proprio così, il tarantino ha questa caratteristica speciale nel panorama italiano. Usciti dalle mura della città – diciamo nell’hinterland cittadino – il modo di parlare cambia in modo notevole. Ok, alcuni linguisti fondamentalisti sostengono che la lingua cambi da persona a persona – e in parte è vero – però cercando di non spaccare il pelo in seicento parti, possiamo dire che questa caratteristica di essere un dialetto di una città è abbastanza singolare.

  1. Se dal lessico ripercorri la storia della città

Le lingue inevitabilmente custodiscono un pezzetto della storia dei luoghi e delle persone. Guardando il lessico, cioè le parole, del tarantino, ad esempio, si possono scoprire i diversi popoli che hanno conquistato questa magnifica terra.

Oggi, infatti, in questo dialetto, che deriva dal latino, sono presenti diversi termini di origine greca (#magnagrecia), araba, francese e napoletana. Tutte lingue di popoli che a un certo punto si sono trovati in questa zona.

  1. I suoni che superano quelli dell’italiano

Selezioniamo qui una sola informazione sulla fonetica del tarantino. Il suo sistema vocalico, cioè l’insieme dei suoni vocalici, è più ampio di quello dell’italiano standard. Attenzione, i suoni non le lettere, come vi abbiamo spiegato qui.

Il tarantino ha ben dieci suoni vocalici che comprendono una a un po’ chiusetta e una i e una u in cui le pliche vocali vibrano più di quanto non facciano nei corrispettivi italiani. A queste dieci si aggiunge la cosiddetta e muta, lo schwa, di cui prima o dopo dovremo parlare. Per farvi capire è quel suono/non suono della e in the inglese, ma anche di iamme in napoletano.

  1. Una differenza sistematica

Rispetto all’italiano è rappresentata dal suono diverso che ha la lettera c in alcuni contesti. Cioè: la parola face (verbo fare) non si pronuncia con la c di cibo per capirci; no quella c si legge come la sc di sciagura: dovremmo dire fasce.

  1. Il futuro che non c’è

Al di là del titoletto d’acchiappo, in realtà il tempo verbale del futuro esiste. Solo che è molto diverso dall’italiano. Noi usiamo in generale il futuro semplice (o il presente con valore di futuro): mangerò, mangerai, etc.

Come vedete si tratta di una parolina sola in cui c’è una radice che ci dà un’informazione sul significato azione del mangiare e poi un pezzetto che ci dà invece un’informazione grammaticale; quelle letterine -erò è come se ci urlassero nelle orecchie «guarda che sto verbo qui è al futuro».

Bene, noi in italiano creiamo il futuro così, ma non è lo stesso ad esempio in inglese dove in I will eat abbiamo due parole separate ed è quel will a urlarci nelle orecchie l’informazione grammaticale.

Gesù che complessità, spero si capisca. Tutto questo per dire che anche il tarantino forma il futuro così: non ha una parola sola, ma usa il verbo avere insieme all’infinito del verbo in questione. Come ci conferma Umberto la frase domani parlerò diventa crè egghia parlà; allo stesso modo andrò, come ci spiega Ileana, si traduce agghia scé.

(Foto di Francesco Nigro da Pixabay).

Michele Razzetti