Il dizionario «Duden» declina 12mila voci al femminile

Un’iniziativa significativa che ha sollevato opposizioni incomprensibili per certi aspetti

Dal 1880 in Germania esiste un dizionario che si chiama Duden, dal (cog)nome del curatore della sua prima edizione. In questi giorni, il Duden ha annunciato un’operazione significativa nell’ottica della parità di genere (che sì, va perseguita anche attraverso la lingua). Come riporta EuropaToday, infatti, saranno declinate anche al femminile 12mila voci, in gran parte relative ai cosiddetti nomina agentis, le parole che indicano professioni e ruoli svolte dagli essere umani. Si troverà quindi avvocato, ma anche avvocata e la definizione sarà la medesima, ma con la specifica del sesso biologico del/della professionista in questione.

È importante ricordare che per gli esseri inanimati non sussiste il “problema” perché la desinenza – tecnicamente il morfema grammaticale – maschile o femminile è frutto di una convenzione, di una casualità in un certo senso; sedia, infatti, è femminile sì, ma solo grammaticalmente: non c’entra una mazza il sesso biologico dell’oggetto su cui posiamo le natiche.

Ma per (molti) animali e per gli esseri umani la questione è diversa; il lavoro che svolgono, ad esempio, possono essere femminili o maschili, in base al sesso biologico della persona in questione. Certo, assessora può far specie perché siamo più abituati ad assessore; ma le assessore sono sempre più numerose, la parola esiste, quindi il problema dove sta?

Il femminile di una professione sembrerà un’inezia per molti, ma a ben pensarci, in una società che aspiri a far convivere tutte le differenze (lo stesso maschile è una differenza se visto dalla prospettiva femminile) non si vede il motivo per cui le voci di base del dizionario debbano essere sempre al maschile. Un dizionario è una sorta di riferimento assoluto per il modo in cui parliamo e scriviamo, e l’utilizzo del maschile per tutte le voci può avere un condizionamento sulla nostra mente, sul nostro modo di interpretare il mondo.

Non mancano ovviamente coloro che ritengono queste questioni delle sciocchezze, coloro che obbiettano che i problemi sono ben altri. Ma una faccenda è significativa in base agli occhi di chi la osserva. Come ha ricordato la sociolinguista Vera Gheno, autrice di Femminili Singolari, nel corso della seconda edizione di 6per6, «sulla questione dei femminili professionali qualcuno può dire che è indifferente se li usiamo o meno; ma non è indifferente nel momento in cui sei oggetto di una scelta linguistica che non ti rappresenta. Inoltre, guardando alla storia dell’italiano si scopre che i femminili professionali sono sempre stati usati tutte le volte in cui una donna inizia a svolgere una professione prima interpretata solo da uomini. Già in latino, per citarne solo uno, esisteva ministra. […] Spesso le questioni le vediamo solo quando ci sbattiamo la testa contro. In quel momento improvvisamente ci rendiamo conto che quel pezzo di realtà è significativo» (il video integrale dell’incontro dell’incontro con Vera Gheno è disponibile qui sotto).

Le obbiezioni non sono mancate neanche in riferimento all’iniziativa del Duden naturalmente. Fra queste, riporta Europa Today, c’è Eva Trutkowski della Libera Università di Bolzano che avrebbe osservato che «il maschile generico fa semplicemente parte della lingua tedesca. Quindi trovo questa ridefinizione piuttosto problematica». I redattori del dizionario hanno però difeso la propria decisione in diverse sedi pubbliche, puntualizzando fra le altre cose che le forme maschili che indicano le professioni non possono essere considerate neutre per quanto riguarda il genere.