Un italiano che impara l’inglese può perdere il proprio accento?

Quello di cancellare il proprio accento quando parlano inglese è un cruccio di molti italiani: è possibile? Ma soprattutto, ha senso?

Simone è un ragazzo campano e per lavoro spesso parla in inglese. La sua non è una famiglia bilingue e lui non è stato esposto fin da piccolo a una quantità massiccia di input linguistici inglesi; e sebbene padroneggi questa lingua con una certa disinvoltura, il suo accento testimonia chiaramente la sua origine geografica. Succede così che amici e colleghi sorridano di questo aspetto. «Eppure quando arriva un inglese in Italia e parla la nostra lingua con un accento marcato, tutti si affrettano a dire quanto è affascinante» osserva Simone, «io sono orgoglioso del mio accento campano e non me ne vergogno».

Da un punto di vista linguistico, chi mira a perdere l’accento della propria lingua madre quando parla inglese (e in generale qualsiasi lingua straniera) è piuttosto interessante. Proprio per questo dedichiamo a questo fenomeno la seconda puntata di LinguENsta, la nostra rubrica dedicata al modo in cui usiamo e impariamo la lingua inglese in Italia, sviluppata in collaborazione con il British Council Italia, ente ufficiale britannico di riferimento nel mondo per la formazione linguistica e culturale.

MA È DAVVERO POSSIBILE PERDERE IL PROPRIO ACCENTO?

Alcuni di noi sono convinti di aver studiato e praticato così bene l’inglese da aver sviluppato un accento degno della BBC. Il più delle volte, in realtà, si tratta di un abbaglio. In generale, a meno che non siate bilingui precoci, cioè abbiate sviluppato una competenza linguistica madrelingua sia in italiano sia in inglese entro grossomodo i dieci anni, è molto improbabile che possiate perdere del tutto il vostro accento quando parlate inglese. Improbabile, attenzione, non impossibile.

La ragione di questa difficoltà è quasi biologica: i muscoli e le parti del nostro corpo coinvolte nella produzione dei suoni sviluppano delle abitudini articolatorie; si abituano cioè ad assumere forme precise quando parliamo. E questa abitudine si consolida quando siamo ancora molto giovani.

In aggiunta a ciò, il nostro apparato fonatorio, quello che ci permette di “creare” i suoni, perde progressivamente flessibilità; proprio come accade con un gesto atletico che richiede molta elasticità muscolare, per produrre i suoni è necessario un allenamento che a sua volta presuppone una certa impostazione fisica. Poi per carità, capita anche di incontrare cinquantenni che imparano a fare la spaccata (senza spaccarsi), ma sono percentualmente molto pochi.

Molti di noi si sono scontrati con la difficoltà enorme di produrre parole in lingue straniere mai studiate (e soprattutto utilizzate) prima: pensate quando proviamo a pronunciare una parola di una lingua slava come il russo oppure dell’arabo. Facciamo una fatica immane, proprio perché il nostro corpo, nelle zone deputate alla creazione dei suoni, non è allenato per quel tipo di attività.

C’è poi un’altra ragione per cui perdere il proprio accento quando parliamo una lingua straniera è molto complesso. Non ce ne accorgiamo, ma la nostra mente presta attenzione, a seconda degli input linguistici con cui siamo venuti a contatto con continuità, a determinate caratteristiche dei suoni. Come spiegano bene le linguiste Maria Garraffa, Antonella Sorace e Maria Vender nel loro Il cervello bilingue (Carocci) «la competenza fonologica, e in particolare la pronuncia, è l’ambito che risente maggiormente dell’età di esposizione alla lingua seconda: il declino nella capacità di discriminare i suoni di lingue diverse da quella nativa […] inizia già verso la fine del primo anno di vita, prosegue negli anni successivi, rendendo più difficile raggiungere un accento nativo quando si viene esposti a una seconda lingua dopo la pubertà».

E, infatti, i toni del cinese sono inizialmente un’ardua conquista per un italiano madrelingua, così come le nostre consonanti intense – quelle che nello scritto chiamiamo doppie – mettono in crisi i francesi che non sono allenati a prestare attenzione alla lunghezza consonantica.

MA PERCHÉ DOVREMMO PERDERE IL NOSTRO ACCENTO?

Questa forse è la domanda nucleare. L’accento che dalla nostra lingua madre portiamo nelle lingue straniere che conosciamo è un tratto identitario: dice qualcosa di noi. Eppure, non mancano indagini dalle quali risulta che molti italiani si sbarazzerebbero volentieri di questa caratteristica.

Forse pensiamo che in qualche modo il nostro accento possa risultare svantaggioso in alcuni contesti, come quello professionale. Ma la realtà, è spesso ben diversa, come osserva anche Ania Krzyzosiak, coordinatrice myClass Adult della sede milanese del British Council: «dico sempre ai miei studenti che è importante ricordare che non c’è niente di sbagliato nel mantenere il loro accento italiano. Tuttavia, è sempre una buona idea lavorare sulla pronuncia in modo da poter essere compresi meglio dagli altri».

Insomma, c’è sempre una via di mezzo che fa bene in tutte le situazioni. Coloro che anche da adulti volessero lavorare sulla propria pronuncia in inglese hanno a disposizione, oggi più che nel passato, diversi strumenti: serie televisive in lingua originale, ad esempio, ma anche applicazioni gratuite dedicate, come Sounds Right che trovate qui. Strumenti utili sia per chi ricorre all’inglese per motivi personali, sia per coloro che lo utilizzano per lavoro, compresi gli insegnanti che comprensibilmente non possono essere dei tuttologi.

Krzyzosiak ha condiviso con noi anche alcuni consigli pratici che spesso dispensa ai propri studenti per aiutarli a sviluppare un accento inglese il più naturale possibile: «è utile ricorrere a /ums/ e /ers/ per colmare le pause in cui pensiamo a cosa dire dopo; non aggiungere poi suoni vocalici involontari alla fine di parole che terminano con una consonante, come man-a e big-a; infine cercare di non toccare il palato duro – la parte superiore della bocca – con la punta della lingua quando pronunciamo il suono /r/».

Per parlare con maggiore disinvoltura è poi sempre utile sviluppare un atteggiamento emotivo efficace: in questo senso è cruciale «non aver paura di commettere errori e cercare attivamente opportunità per comunicare con gli altri in inglese senza farsi condizionare dalla sensazione di essere giudicato. Dopotutto, il successo non si misura in base al numero di errori commessi, ma se si trasmette il messaggio».

(Foto: unsplash.com).