Un sostantivo tristemente diffuso in questi giorni e che noi italiani abbiamo esportato in tutto il mondo
In questi giorni segnati dalla pandemia del Coronavirus è normale interrogarsi su alcuni fenomeni e termini ricorrenti. La quarantena è senza dubbio uno di questi e andando a scavare nella storia linguistica della parola si scopre facilmente – la stessa Treccani lo riporta – che altro non è che la forma veneta di quarantina.
Non ci vuole Einstein per intuire che il riferimento è al numero di giorni di segregazione che imponeva questa misura. Oggi di fatto non si parla più di quaranta giorni – o per lo meno ce lo auguriamo – ma ciononostante il termine continua a essere utilizzato.
Nel Trecento questa forma di isolamento venne ideata proprio nella Repubblica Veneziana. Era destinata essenzialmente alle persone, agli animali e alle merci che raggiungevano la Serenissima via mare da luoghi interessati da malattie infettive.
Queste venivano messe in un luogo separato dal resto della popolazione e tenute in osservazione per valutare l’eventuale comparsa di sintomi. Nel corso degli anni le patologie più interessate da questa misura sono state la peste, la lebbra, il colera, la sifilide e la febbre gialla. Oggi si aggiunge a questa lista purtroppo anche il Coronavirus Covid-19, anche se ci auguriamo tutti che l’isolamento duri meno di quaranta giorni.
L’invenzione dei veneziani incontrò il consenso delle principali potenze europee che adottarono quasi immutato anche il termine per descrivere questa misura sanitaria. Non sorprende quindi che in catalano, lingua più simile all’italiano in assoluto sul piano lessicale, la parola sia identica nella grafia e (quasi) nel suono: quarantena. Leggermente diversa in spagnolo in cui si scrive e pronuncia cuarentena.
In tedesco la u che pronunciamo noi è sparita e il suono è simile a un carantin, scritto Quarantäne. La grafia è simile in inglese, dove troviamo quarantine.
Infine in francese abbiamo quarantaine con una modifica notevole della fonetica rispetto all’italiano, soprattutto per quanto riguarda i suoni vocalici.
Ma il triste successo di questa parola ha travalicato i confini delle lingue neolatine e germaniche: in hindi – che fa parte della stessa famiglia linguistica dell’italiano, come abbiamo visto qui – si dice koraanteen, in russo karantin e in bulgaro karantina. Non ricorre invece al nostro termine – fatto forse un po’ ironico viste le circostanze – il cinese e in generale le lingue orientali.