Sono quasi tutte estremamente popolari in questi mesi bizzarri, ma alcune sono proprio curiose (c’è anche una locuzione latina!)
Ogni anno il motore di ricerca per eccellenza, Google, pubblica un rapporto con le parole che gli italiani digitano maggiormente nella sua “barra magica”. In particolare, una delle sezioni del rapporto riguarda le parole di cui non conosciamo il significato. Sono quelle, per intenderci, che inseriamo nella barra di ricerca dopo le parole «cosa significa…».
Bene, potrebbe stupire molti che la parola di cui fino al 2020 più italiani ignoravano il significato è pandemia. Ne parliamo assai, la scriviamo in continuazione in questi mesi, ma molti a quanto pare non ne conoscevano l’esatto senso. Giusto per sgombrare il campo dai dubbi, riportiamo la definizione che ne dà il Nuovo Devoto Oli 2021: «Epidemia con tendenza a diffondersi rapidamente attraverso vastissimi territori o continenti».
Al secondo posto c’è un acronimo politico economico, il MES, che sta per Meccanismo Europeo di Stabilità. Medaglia di bronzo per un altro acronimo, questa volta squisitamente politico, DPCM, cioè Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
La quarta riguarda un termine su cui si sono spesi fiumi di inchiostro (fisico e digitale): congiunti; al quinto, invece, una locuzione latina (noi ne abbiamo parlato qui), urbi et orbi.
La sesta è senza dubbio curiosissima: avreste mai detto che moltissimi italiani cercano su Google il significato di bonsai? Noi no, soprattutto perché sottovalutavamo forse la popolarità di questo modo di crescere le piante.
Al settimo posto, una modalità di lavoro che spopola negli ultimi mesi, smart working. Anche qui è importante ricordare che questa espressione è uno pseudoangli(ci)smo: gli inglesi per indicare il lavoro agile, a distanza e in spesso da casa, ricorrono a work from home.
L’anglismo lockdown occupa l’ottava posizione delle parole di cui cerchiamo maggiormente il significato, seguito da RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale) e dallo slogan Black Lives Matter.
Un’osservazione per un linguaggio più comunicativo
Ci colpisce un fatto: tre di questi dieci termini sono sigle, acronimi. Molto ricorrenti, sì, ma che evidentemente non parlano a tutti, non sono facilmente intellegibili. Perché? Innanzitutto perché sono tecnicismi, indicano cioè aspetti che non riguardano la quotidianità di tutti noi.
Ma c’è anche un’altra considerazione da fare: spesso questi acronimi vengono introdotti nella “lingua comune” dai mezzi di informazione, che troppo spesso non si premurano di scioglierli, di spiegarli. Quando comunichiamo, troppo spesso diamo per scontato che i nostri interlocutori abbiano conoscenze analoghe alle nostre. Ma spesso così non è, quindi nei discorsi rivolti a una platea indistinta, di cui non conosciamo la formazione e le esperienze pregresse, sarebbe sempre buona cosa spendere qualche parolina in più per concetti come questi.
Allo stesso tempo non è un dramma non conoscere il significato di una parola: capita a tutti (proprio a tutti). Nessuno di noi è un vocabolario vivente, ma l’importante in questi casi è sforzarsi di sfogliarlo (anche in formato digitale) il dizionario.
(Foto: unsplash.com).