Ma che bei tipi (linguistici) ci sono nel mondo

Tutte le lingue del mondo possono essere suddivise in classi basate su determinate caratteristiche: è l’affascinante campo della tipologia linguistica

Quante lingue si parlano nel mondo? Difficile dare i numeri in questo caso. Sì, perché a seconda dei parametri utilizzati per definire il concetto di lingua si passa da circa 2000 fino a 12000. Ma al di là delle cifre è interessante essere consapevoli che le lingue presentano tratti che le accomunano.

È comprensibile supporre che più è stretta la parentela (di questo concetto abbiamo parlato qui) fra due sistemi linguistici, maggiori sono le somiglianze; in realtà questo schema non è sempre perfetto: dipende dai fattori che si prendono in considerazione.

La disciplina che si occupa di creare gruppi di lingue affini secondo determinati tratti è la tipologia linguistica. Come spiega in modo ineccepibile e chiaro Gaetano Berruto, uno dei più significativi (socio)linguisti italiani di sempre, questo campo di studi «si occupa di individuare che cosa c’è di uguale e che cosa c’è di differente nel modo in cui, a partire dai principi generali che governano le ‘lingue possibili’, le diverse lingue storico-naturali sono organizzate e strutturate […]. La tipologia è dunque strettamente connessa con lo studio degli ‘universali linguistici’, proprietà ricorrenti nella struttura delle lingue» (Corso elementare di linguistica generale, UTET, pp. 111-112).

Grazie alla tipologia è possibile così creare delle classi di lingue che sono accomunate da alcuni tratti specifici, anche se è fondamentale capire che questi sono concetti scalari, non drasticamente dicotomici. Cosa vuol dire in pratica? Cerchiamo di vederlo con un esempio sull’italiano.

Fra gli elementi più noti per creare dei tipi linguistici c’è l’ordine sintattico prevalente, cioè in che modo disponiamo alcune categorie di parole nelle frasi che utilizziamo. Nella nostra lingua – lo avrete sentito più e più volte a scuola – l’ordine sintattico è sostanzialmente SVO: soggetto, verbo, complemento oggetto. «Luca mangia una mela» – classica frase da manuale di grammatica – ne è un esempio molto semplice. La maggior parte delle frasi che pronunciamo presenta quest’ordine, però ci sono anche situazioni in cui gli elementi si invertono.

Pensate ad esempio alla frase «le chiavi di casa prendile tu»; che è successo? Un casino vero: qui l’ordine della frase non è più SVO, bensì (semplificando) OVS. Non dovremmo forse considerare italiana questa frase? Certo che è italiana, solo che non presenta l’ordine delle parole prevalente nel nostro sistema linguistico. Questo, per dirlo con un tecnicismo, è un ordine sintattico marcato (speciale, ecco).

Quindi possiamo dire che l’italiano è una lingua prevalentemente, ma non esclusivamente, SVO.

I diversi tipi linguistici basati sulla sintassi sono sei nel mondo (SVO, SOV, VOS, OVS, OSV). Non sono tuttavia equamente distribuiti nelle lingue. Il più frequente non è quello dell’italiano (che tuttavia è secondo), ma quello SOV, che contraddistingueva il latino ad esempio (alcuni tuttavia riconoscono a questa lingua un ordine libero). Curiosamente, tuttavia, tutte le lingue neolatine, ma anche l’indonesiano e il vietnamita per citarne solo due, sono invece SVO. OSV, poverello, è il tipo linguistico meno diffuso e si ritrova, ad esempio, in alcune lingue del Sudamerica.

In questo articolo abbiamo provato ad accennare alla questione della tipologia linguistica che è molto più complessa di quanto esposto qui. Magari in futuro torneremo sull’argomento per capire ad esempio come un ordine sintattico di un certo tipo determini altre caratteristiche linguistiche precise.

(Foto: unsplash.com).