Perché la parola Stato è spesso connotata negativamente? Forse si è perso qualcosa nel suo uso
Più volte nel corso della giornata sentiamo ripetere, soprattutto dai mezzi di comunicazione e informazione, la parola Stato. Ieri, ad esempio, mi è capitato di ascoltare alcune storie di Instagram di Fedez che difendeva la moglie Chiara Ferragni dalla polemica di Eleonora Daniele, giornalista della Rai che la accusava di non spendersi a sufficienza per stimolare comportamenti virtuosi da assumere per limitare il contagio da Covid19.
Fedez sottolinea più volte che la giornalista lavora per la «tv di Stato» per evidenziare che l’emittente televisiva che le paga lo stipendio è pubblica. Un esempio banale che mi ha fatto riaccendere un’antica fiamma. Spesso, infatti, mi è capitato di ritrovarmi a parlare di piccoli aspetti politici ed economici, soprattutto in relazione alla pressione fiscale. Immancabilmente, mi trovavo ad ascoltare frasi molto negative nei confronti dello Stato: lo Stato che ci tassa, lo Stato che non funziona, lo Stato che è corrotto, e tante altre espressioni colorite fra cui la celebre «fregare lo Stato».
Ecco, da un punto di vista linguistico mi è parso quindi lampante un fatto: la connotazione di questa parola molto spesso nella bocca dei cittadini (infinite virgolette) comuni è totalmente negativa. Mettici il malaffare, l’antipolitica e tutto il resto, ma sta di fatto che quando evochiamo lo Stato, pensiamo a un’entità altra da noi che in qualche modo dobbiamo combattere, se non addirittura fregare. E per quanto mi sembri ovvio ricordarlo anche qui, c’è un concetto fondamentale da tenere sempre a mente: LO STATO SIAMO NOI. IL PUBBLICO SIAMO NOI.
La tv pubblica o di Stato si chiama così perché siamo noi, con i nostri contributi a sostenerla e a permetterle di vivere. È nostra in un certo senso, anche se questo legame si è perso sempre più negli anni. Un discorso analogo vale per il servizio sanitario, ospedali (pubblici), ASL e compagnia bella. E a ruota le strade, i parchi e i bus che prendiamo.
Per i più scettici riportiamo la definizione del dizionario della Treccani alla voce stato:
Comunità politica costituita da un popolo stanziato in un determinato territorio e organizzato unitariamente come persona giuridica collettiva […].
Ripetiamo insieme: con Stato si intende la comunità di tutti i cittadini che vivono in un determinato territorio. È un sostantivo collettivo per riprendere le classificazioni delle elementari.
Bene. Però qualcosa è andato storto nell’uso di Stato e pubblico nel linguaggio. Soprattutto nel primo caso, si è perso il significato – il tratto semantico – di collettività e si è imposto quello di entità malefica.
Urge secondo me, quindi, trovare un modo per parafrasarli. Perché se andiamo avanti così, finché nel linguaggio useremo solo espressioni come parco pubblico, temo che nella mente di alcuni di noi risulterà meno grave, ad esempio, buttare una lattina nel prato. Ma a casa nostra? Nel nostro giardino e – per esteso – nel nostro parco, lo faremmo mai? Io credo di no. O per lo meno lo spero. Quel parco pubblico lì è nostro, di tutti noi.
Forse, quindi, fin da bambini dovremmo imparare che gli aggettivi di stato e pubblico sono sinonimi – forse non perfetti sotto un profilo semantico, d’accordo – di nostro.
Essere contro lo Stato significa quindi mettersi irrazionalmente contro di noi stessi in qualche modo. Provare a fregare lo Stato significa fotterci con le nostre mani. Perché sì, c’è chi lo Stato lo amministra e le storie infelici sono troppo numerose anche solo da riportare alla mente, ma condannare lo Stato non ha senso. O meglio, è come condannare noi stessi. Che poi è quello che facciamo quando non rispettiamo una regola del vivere comune, non pagando le tasse, lavorando in nero, vandalizzando una panchina.
Perché farlo? Quelle cose – compresi i conti pubblici da cui escono bonus e altre amenità che ci fanno felici oggi, ipotecando il domani – non sono volute dallo Stato, da un’entità astratta che non conosciamo. Sono nostre, riguardano tutti noi.
È una rivoluzione di pensiero e di attitudine che secondo me passa anche dal linguaggio. Da oggi in poi, provateci anche voi: quando pensate negativamente allo Stato o a qualcosa di pubblico, provate a sostituire quell’aggettivo con nostro, con mio e capirete che forse in alcuni comportamenti stiamo davvero andando nella direzione sbagliata.