Non tutti amano il burocratese, ma questo non significa diventare scortesi: ecco qualche consiglio da linguista sul come iniziare un’email professionale
Per chi lavora in un ufficio, l’email è al tempo stessa la migliore e la peggiore amica. Sì, perché rispetto al passato – e chi ha vissuto la transizione lo sa bene – ha facilitato molte le comunicazioni. Ma questa facilità ha poi mostrato un lato oscuro e oggi faremmo volentieri a meno della metà dei messaggi che riceviamo.
Tutti prima o dopo ci siamo trovati di fronte allo schermo del nostro pc domandandoci come iniziare un’email professionale. Gentile o distinto? Sig. o dott.? Saluto o non saluto? Che rottura, diciamocelo.
Però, che ci piaccia o no, di fatto un’email di lavoro prevede delle regole che abbiamo forgiato noi nel corso degli anni (come funziona questo processo lo abbiamo visto qui). Bene, ma allora sta benedetta email come la inizio? Risposta paracula: dipende, e questo non dobbiamo mai dimenticarlo.
Ma andando oltre le dovute cautele possiamo individuare qualche regoletta per iniziare un’email in modo formale ma smart. Questa formula potrebbe funzionare nella maggior parte dei casi in cui scrivete a qualche sconosciuto che bene o male ha lo stesso vostro potere. Mi spiego meglio: se siete un impiegato e dovete scrivere a un amministratore delegato, rispetto a queste indicazioni è necessario qualche formalismo in più, per quanto noioso. Lo stesso discorso vale nel caso in cui la vostra email sia destinata a una persona molto avvezza al burocratese (in molte grandi aziende nostrane questo stile prolifera felicemente).
1. L’endearment
Parola inglese che indica i vari caro, distinto, egregio delle nostre email. Serve? Da un punto di vista del significato non troppo, nel senso che quando scriviamo caro di fatto non pensiamo in modo affettuoso al destinatario del nostro messaggio.
Tuttavia questo elemento sembra essere molto radicato nella comunicazione professionale via e-mail. Se vi chiedete il perché è piuttosto semplice: è un’eredità formale della lettera cartacea da cui di fatto la posta elettronica deriva. Quello che vi consiglio io come passe-partout è il gentile: formale ma non sussiegoso.
2. Titolo sì o titolo no?
Se chiedessimo a un impiegato statale sui 65 anni, non avrebbe dubbi: assolutamente sì. Però, ecco, l’aggiunta del titolo fa davvero comunicazione fantozziana in molti casi soprattutto se siete fra i trenta e i quaranta.
Quindi il mio consiglio in generale è di ometterlo, tanto più che non sempre sapete se il vostro interlocutore sia laureato o meno (e se sbagliate risultate – questo sì – un po’ inappropriati). Se il destinatario del vostro messaggio è estremamente formale e burocratico, invece, potreste inserirlo e solleticare così il suo ego digitale.
3. Nome o cognome?
Non è un dubbio da poco. Però una cosa dobbiamo dirla: chiamare le persone per cognome è in generale sgradevole. Pensateci su un secondo: preferite quando vi chiamano con il vostro nome o con il cognome? Le persone dalla cultura molto alta e raffinata rifuggono il cognome; ricordo almeno tre professoresse universitarie nel corso dei miei studi che ci hanno invitato a prediligere il nome. E questo non implica necessariamente essere maleducati. Una formula efficace in molti casi? Utilizzare il nome del destinatario e poi dare del lei.
4. Il saluto
Buongiorno, salve, ciao: servono, sì. Perché riportano alla nostra mente l’interazione reale che potremmo avere con l’interlocutore. Ce lo aspettiamo, un saluto, e inserirlo non costa molto. Buongiorno e buonasera (dal primo pomeriggio in poi) sono le formule più indicate in questo contesto comunicativo.
5. Una marcia in più
Infine c’è un elemento, molto diffuso nelle e-mail degli anglofoni, che noi italiani utilizziamo poco. Mi riferisco alle formule di ringraziamento. È il tipico caso del grazie per il suo messaggio, che costa poco ma contribuisce a creare un clima comunicativo all’insegna della collaborazione. Consigliatissimo.