Da anni dilaga la parola progetto per ogni iniziativa; ecco un’ipotesi sul motivo di questa “epidemia linguistica”
Recentemente mi è capitato di riflettere sul significato della parola progetto. Non solo, mi sono ritrovato a pensare alla sua incredibile diffusione. Pensate soprattutto all’àmbito lavorativo in cui per molti anni tutto è stato etichettato come progetto. Anche nell’àmbito delle relazioni questo sostantivo ha trovato molto favore con i vari progetti di vita insieme, progetti di coppia, fino ad arrivare ai figli che in alcuni casi sono loro stessi progetti.
Da un certo punto di vista è comprensibile, per carità. Sì, perché progetto ha nel suo significato il valore intrinseco del futuro, di qualcosa che ancora non è stato realizzato. Porta così con sé un potente senso di speranza e di fiducia nel domani, allontanando la nostra mente da quel baratro che è il non sapere che fare e la mancanza di una direzione precisa.
Però, ecco, c’è un altro aspetto su cui vale la pena riflettere. Nel portfolio di significati “sottintesi” di questo sostantivo c’è anche quello di qualcosa che non ha ancora una forma definitiva. Da qui la frase molto ricorrente per ora è solo un progetto. È un’affermazione un po’ paracula che sa di sì, lo sto facendo però ecco non è sicuro come andrà a finire.
Forse è solo una mia impressione, ma il ricorso inconsapevole e massiccio – l’ho fatto io stesso annunciando la creazione di Linguinsta – a questa parola rivela un tratto tipico di una grossa fetta della nostra società: l’impossibilità di fallire. Non possiamo sbagliare, mai. In alcuni casi neanche al nostro corpo è concesso: ci prendiamo un banale raffreddore e sbam, ricorso immediato ai medicinali. Eh no, caro il mio corpicino, non puoi fermarti mai, devi funzionare sempre al 100%.
E a cascata questa intolleranza al fallimento, all’errore, alle battute d’arresto si riversa su tutti i settori della nostra vita, comprese le relazioni – che, udite udite, possono finire – e il lavoro – che sì, si può cambiare o perdere.
Ma anche se lo schermiamo dietro a una parola, l’esito delle nostre iniziative non cambierà. Quando intraprendiamo qualcosa che per noi ha valore dovremmo avere paura, per lo meno quel minimo che ci aiuta a dare il meglio di noi stessi. Al tempo stesso dovremmo intravedere la possibilità di fallire. Se succederà, soffriremo quanto basta e poi troveremo il modo di ripartire, di ricostruire qualcosa di nuovo.
E nel fare questo potremmo far tesoro della nostra esperienza. Così quando a fallire sarà il nostro vicino di banco, un amico o un fratello cercheremo di ricordare quanto dolore abbiamo provato noi quando eravamo al posto suo. Questo sì che sarebbe un bel progetto.
(Foto: Daniela Holzer su Unsplash).