Storie linguinstiche: «i doppi sensi che minano la vita di un italiano in Spagna»

Si sente spesso ripetere che spagnolo e italiano sono due lingue molto simili; è davvero così? Ecco l’esperienza di Daniele

Avete mai pensato di dare una scossa alla vostra vita, lasciare il lavoro e partire per un Paese straniero senza conoscere la lingua che lì si parla? Il tutto cercando di non far sembrare quest’idea una follia? Bene, io l’ho fatto!

La Spagna, «que Pais tan bonito». Tutti mi dicevano che lo spagnolo era molto simile all’italiano e che sarebbe stato facile impararlo. Eppure, dopo tre anni vissuti lì, posso confermare che così non è.

Per i primi tre mesi nelle mie uscite serali mi limitavo a ordinare una cerveza e annuire sorridendo a chiunque cercasse di comunicare con me. Non capivo, non capivo una mazza ma non potevo far ripetere le stesse frasi più volte perciò decisi che la via più semplice era quella dell’ingenuo sorriso.

Sapete cosa vuol dire essere scambiato per Raffaela Carrà ogni volta che dici il tuo numero di telefono? Ebbene sì, in un famoso programma spagnolo degli anni ‘90, una carismatica Raffaella presentava ¡Hola Raffaella! con una pronuncia che a quanto pare assomiglia tanto alla mia; e quando a fartelo notare è il ragazzo del carro attrezzi che hai chiamato dopo che la tua auto si è fermata nel mezzo delle campagne, non sai se ridere o piangere.

Spesso ho sentito ripetere che l’italiano è ricco di doppi sensi. Ecco, lo spagnolo mi è sembrato un doppio senso perenne. Non potete immaginare la quantità di parole che hanno a che fare con il sesso.

Qualche esempio: cajón significa letteralmente cassetto, ma utilizzato in determinati contesti comunicativi, può trasformarsi in… vagina. Analogamente comer significa mangiare, ma in senso figurato sta anche per leccare. Potete immaginare il boato di risate quando un giorno in ufficio mi è passato per la mente di dire che «mi sarei mangiato tutto quello che la mia collega aveva nel suo cassetto».

Altre situazioni imbarazzanti nascono anche soltanto quando si cerca di fare un semplice spelling. Ed ecco un altro aneddoto tragicomico. Mi sono trovato a dover dettare il codice UV34KJ a un call center del Sud America. Ecco, non pensate alla U di Udine o alla V di Venezia, ma alla U di Uruguay e alla V di Valencia. Quando sono arrivato alla K non mi sono ricordato che si pronuncia /ka/ e ho detto «ke de Kenia»; dall’altra parte non hanno capito e io ho iniziato a palare della geografia dell’Africa…

Ma al di là di queste situazioni esilaranti, ho potuto constatare che gli spagnoli in genere sono piuttosto comprensivi con chi non parla bene la loro lingua. Non solo: accolgono con una certa simpatia anche le pronunce più improbabili. A posteriori ho intuito di aver pronunciato male il nome del mio capo per due anni; eppure, quando ho imparato a dirlo correttamente, erano gli altri – ispanofoni madrelingua – a chiamarlo con la mia insolita pronuncia.

Non mi sorprende così che oggi che vivo nuovamente in Italia e posso parlare quotidianamente la mia lingua materna, mi ritrovi comunque a echar mucho de menos (sentire la mancanza, ndr) quella che ormai considero la mia seconda casa.

Daniele Novello