Un sistema di intelligenza artificiale ha scritto un intero editoriale pubblicato dal The Guardian
Non è fantascienza. È accaduto davvero: il più avanzato sistema artificiale di generazione del linguaggio ha firmato un editoriale. Non per il giornalino della Pimpa – che tenera -, ma per il The Guardian, uno dei più autorevoli quotidiani al mondo.
Fantastico? Inquietante? Ognuno è libero di interpretare questo evento come meglio reputa.
Da un punto di vista linguistico è però senza dubbio intrigante. Perché di fatto GPT-3, così si chiama questa forma di intelligenza artificiale, ha ricevuto solo l’argomento del testo da scrivere e alcune indicazioni formali (stile semplice e lunghezza) e poi ci ha pensato da solo. Il risultato è comunque convincente (anche se ha subìto una revisione da parte della redazione, così come accade per i pezzi scritti dagli esseri umani) e senza la specifica della redazione, sarebbe difficile intuire che a produrre quell’articolo non siano state le picchiettanti dita di un giornalista.
Il titolo dell’editoriale lascia intendere immediatamente la riflessione proposta: A robot wrote this entire article. Are you scared yet, human? (Un robot ha scritto interamente questo articolo: hai già paura, umano?).
Provare timore di fronte a un’innovazione del genere è comprensibile in realtà; tanto più se a un certo punto lo stesso robot ammette di non poter evitare di nuocere all’umanità se qualcuno lo programmasse per farlo.
Al di là delle sue intenzioni, non dobbiamo illuderci che GPT-3 comprenda ciò che scrive. La sua riflessione è un esercizio di stile; o meglio, è la prova che in qualche modo il linguaggio può essere prodotto anche da strumenti tecnologici potenti che “capiscono” attraverso il calcolo delle probabilità quale parola dovrebbe venire dopo la precedente. Insomma, si tratta quasi più di matematica che di lingua. Poi certo, chi conosce la linguistica, sa che le due discipline hanno molti in comune, ma qui manca per l’appunto la comprensione di ciò che si produce. Un’abilità molto complessa che fa parte di una facoltà, quella del linguaggio, che è forse la più raffinata di cui disponiamo come specie.
Come ricorda anche Michael Corballis nel suo La verità sul linguaggio (per quel che ne so), edito da Carocci, «Grazie a ciò che chiamiamo linguaggio la nostra è l’unica specie in grado di comunicare in un modo praticamente illimitato». E poi ancora «naturalmente, anche gli altri animali comunicano, ma le loro forme di comunicazione non hanno niente a che vedere con la grandezza del linguaggio umano, col suo straordinario potere di evocare, spiegare, persuadere, raccontare… e dire cazzate».